3. I CAMPI DI PRIGIONIA IN KENIA

Campo di transito di MANDERA nel Somaliland britannico
Latitudine 9*54’13” N
Longitudine 44*42’49” E
Altitudine m 1000 slm
A 72 km dal porto di Berbera

MANDERA EVACUATION CAMP

Dobbiamo alla cortesia di Tom Lawrence, un residente inglese, la segnalazione del campo di smistamento di Mandera nel Somaliland Britannico, dove molti prigionieri hanno sostato prima dell’imbarco a Berbera per il porto di Mombasa.

Recentemente e’ stata messa in vendita su internet una mappa molto dettagliata del campo, disegnata a mano da un autore che si firma MD, al prezzo di $3,500.

Nella nota che accompagna la mappa viene indicata la posizione del campo a 72 km. da Berbera, e a meta’ strada fra Berbera e Hargeisa. Su Google Maps compare la localita’ di Mandheera ( ma pronuncia deve essere la stessa), con un compound rettangolare molto simile al campo. Forse solo una coincidenza. Il posto si presenta come desertico ed estremamente inospitale.

Il sig. Tom Lawrence ci ha fornito il prezioso documento che riproduciamo. L’autore della mappa e’ il Ten. Colonnello del Genio Dino Memmo che aveva seguito la costruzione del campo di Mandera . Il suo articolo contiene le mappe delle varie fasi di costruzione e disegni dei vari oggetti fabbricati nel campo con I mezzi di bordo.

Campo 351 – KABETE / NAIROBI
Latitudine 1° 24’ 28” S
Longitudine 36° 76’ 17” E
Altitudine 1700m. slm
Alla periferia di Nairobi

Alla periferia di Nairobi esisteva il Campo 351per prigionieri di guerra e il Campo #2 per evacuati civili.

L’ esatta ubicazione del campo di Kabete viene indicata in un blog in cui l’autore confessa di essere stato un ragazzo difficile – testa dura in Swahili – per cui era stato rinchiuso nella Kabete Approved School creata dale autorita’ britanniche tra il 1910 e il 1912. Si trattava di una vasta fattoria di 250 acri (100 ettari) lungo la Lower Kabete Road, trasformata in campo di prigionia durante la guerra e poi riportata alla destinazione originale.

Si tratta di un collegio e scuola elementare che ospita un centinaio di bambini di strada, vittime spesso di violenze e abusi famigliari. Il punto GPS dell’ex campo 351 e’ il seguente 1°14’0” S 36°43’0” E.

Collezione Angelo Chemello

UN CAMPO SENZA NUMERO?

Il signor Zanelli ci ha inviato una serie di fotografie di suo padre Lorenzo (Renzo) durante la prigionia in Kenya. Due di queste, che riproduciamo di seguito, portano l’indicazione “Viale principale del 351 POW cancello nord Nairobi” e “ Comp. 351 sez. C Nairobi“.

Ora nessuno dei due campi finora identificati, di Kabete e di Ruaraka , si trovavano a Sud della citta’ per giustificare un “cancello nord Nairobi”.

Riguardando la mappa dei campi che risale al tempo di guerra scopriamo la presenza di un terzo campo di prigionieri, marcato con la lettera maiuscola I , la cui posizione e caratteristiche fisiche combaciano. Si trovava nella zona che nel 1946 e’ diventata parte del Parco Nazionale di Nairobi.

Chi avesse notizie piu’ precise e’ vivamente pregato di farcele avere.

FOTO DI GRUPPO CON CANE

Chi ci segue avra’ notato la foto scattata nel Campo di Eldoret nella quale compare un barboncino bianco.

Riceviamo ora dal signor Zanelli alcune foto di suo padre con diversi compagni di prigionia nella quale compare di nuovo questo simpatico cagnolino, pero’ in un altro campo, questa volta di tende. In un’altra foto lo ritroviamo in braccio al. Era chiaramente il suo cagnolino privato, non una mascotte del campo.

Mario Rocco

Tra I prigionieri del Campo di Kabete prima di essere trasferito in Sud Africa c’era anche Mario Rocco ufficiale di cavalleria nella prima Guerra mondiale. Era giunto in Kenya nel 1928 con la moglie Giselle Banau-Varilla, francese gia’ allieva di Rodin, per un lungo safari, aveva comperato una farm sulle rive del lago di Naivasha, ma nel 1941 come cittadino nemico era stato internato e le sue proprieta’ confiscate. I loro tre figli, Doriano, Mirella e Fiammetta hanno tutti lasciato un segno nella storia del Kenya.

Gli Archivi del Comitato Internazionale della Croce Rossa ci hanno fornito cortesemente questa foto scattata nel Campo 351 poco prima del rimpatrio dei prigionieri.

I numerosi musicisti presenti tra I prigionieri hanno dato vita, sottola guida del Maestro Gagliano, alla prima orchestra sinfonica in Kenia.

Molti ricercatori italiani hanno potuto collaborare con il museo di storia naturale di Nairobi al quale hanno dato importanti contributi.

Squadra di calcio

C’era una squadra di calcio G.S.Ruaraka, dal nome di un quartiere di Nairobi vicino al campo d’aviazione di Eastleigh

Cerchiamo notizie di eventuali altre squadre di calcio, nonche’ di attivita’ svolte dai prigionieri italiani a Nairobi e dintorni.

Prostitute

Uno studio pubblicato da Luise White nel 1990 sulla prostituzione a Nairobi durante la Seconda Guerra Mondiale racconta di rapporti fra prigionieri italiani e donne locali nel quartiere a luci rosse di Shauri Moyo e Pumwani, dove si erano verificati spesso scontri tra Italiani e militari del Gold Coast Regiment (ora Ghana) e quelli keniani del Kings’s African Rifles. Nel campo i prigionieri disponevano sempre di preservative, il che – nota la White – sta a indicare una certa tolleranza da parte delle autorita’ o per lo meno delle guardie che frequentavano anch’esse queste donne e dovevano ricevere regali o compensi per lasciar uscire I prigionieri.

Il libro riferisce delle tariffe ridotte praticate ai prigionieri – 2 shellini – e l’uso di alcuni di avere appuntamenti a giorni fissi con donne particolari, alle quali fornivano lenzuola sottratte al campo. Dato pero’ che le lenzuola portavano impresso il numero di matricola del prigioniero, le donne dovevano far attenzione a far trovare a ciascun prigioniero le “sue” lenzuola per evitare litigi.

L’autrice cita i ricordi di una ex lavoratrice del sesso, Zeina Kachui: “Quando c’erano qui gli Italiani, quelli si’ che erano giorni ricchi per le donne. Sapete, il lavoro viene quando ci sono problemi e la guerra era un problema, ma quando c’erano gli Italiani io non avevo problemi.”

Il destino dei Missionari italiani in Kenya 1940 -1943

Il giorno dopo la dichiarazione di guerra tutti I Missionari , in quanto cittadini italiani e percio’ nemici (enemy aliens) ,sono stati arrestati e rinchiusi in un campo di concentramento a Kabete, alla periferia di Nairobi. La loro prigionia e’ incominciata cosi’ piu’ di un anno prima di quella dei militari italiani che sarebbero arrivati in Kenya solo alla fine del 1941.

Le suore italiane non sono state arrestate, ma e’ stato proibito loro di uscire dai conventi.

Racconta un Missionario:” Quando ci portavano a passeggiare fuori del campo, sotto scorta, noi cantavamo in Swahili, lingua che I militari inglesi non conoscevano, per chiedere ai passanti “ Come vanno le nostre Missioni? Come stanno le nostre suore?”.

Poi nel 1941 tutti I Missionari sono stati trasferiti in Sudafrica, nel campo di Koffiefontein.

L’architetto Fulvio Rostagno, che ringraziamo, ci ha fatto pervenire questa fotografia del gruppo dei Missionari appena arrivati in Sudafrica dal Kenya.

La foto e’ corredata dai nomi di tutti I presenti e costituisce un importante documento del loro sacrificio.

CAMPO DI INTERNAMENTO DI KOFFIEFONTEIN

Orange Free State - Sud Africa

Fotografi PRESA AL GRUPPO DEI MISSIONARI DELLA Consolata, internati dal Kenya, Anni 1940-1943

Nomi dei Missionari

Prima Linea: (seduti a terra) da sinistra a destra:

1. P. Rosci Corrado 2. Fratel Balagna Cesare - 3. P. Canna - 4. Fratel Breuza Serafino - 5. P. Rosano Lorenzo - 6. P. Facchinello Cesare - 7. Fr. Troyer Carlo - 8 Fr. Villosío Antonio - 9. Fr. D'Alberto Enrico 10. Fr. Quaglia Vincenzo 11.P. Botto Remo 12. Fr. Abbatti Filippo - 13 Fr. Michieletto Giuseppe - 14. P. Serale Giovanni - 15. Mussetto Fr. Ottavio - 16. Fr. Grassi Luigi

Seconda linea: (seduti):

1. P. Baldazzl Salvatore - 2. Fr. Pagliarino Ernesto 3. P. Riba Luigi - 4. P. Bolla Giovanni - 5. P. Bessone Umberto 6. P. Vergíne Faustino 7. Fr. Vendramín Ugo 8. P. Sestero Ottavio 9. P. Merlo Pich Vittorio - 10. P. Ciardo Giovanni 11. P. Prunotto Giovanni 12. P. Devale Giovanni - 13. P. Manfredi Enrico - 14. P. Físsore Pietro.

Terza linea (in piedi):

1. P. Camisassi Michele - 2. P. Spazzoli Livio 3. P. Fiandrino Giovanni 4. P. Richetta Giuseppe - 5. P. Pezzoni Pietro - 6. P. Ghilardi Valentino 7. P. Lazzaro Tranquillo - 8. Fr. Furian Amedeo 9. Rossi P. Riccardo 10. P. Salvatori Dante - 11.P. Giacosa Gino - 12. P. Boeri Giacomo - 13. P. Rabaioli Luigi G. - 14. P. Pacchiardo Vittorio - 15. P. Maletto Giuseppe - 16. P. Benintende Carmelo 17. P. Airaldi Guglielmo

Quarta linea: (in piedi).

1. Fr. Grosso Guido - 2. P. Guadagni Romano - 3. P. Dho Giorgio - 4. P. Favaro Bartolomeo 5. P. Secchia Raffaele - 6. P. Maraner Pio - 7. P. Casolati Giovanni - 8. P. Cremasco Aldo - 9. Fr. Giordano Bartolomeo - 10 P. Mauro Giovanni - 11. P. Arbinolo Giovanni - 12. P. Peirani Giulio - 13. P. Gallo Bartolomeo 14. P. Galbusera Giovanni - 15. P. Sala Angelo - 16. P. Davoli Pietro - 17. Maccarlo Giuseppe P. - 18. P. De Rossi Pietro 19. P. Negro Bartolomeo - 20. Fr. De Marchi Tommaso 21. P. Barra Giuseppe - 22. Fr. Sestero Oreste 23. P. Comoglio Francesco - 24. P. Marino Nicola - 25. P. Scarcella Giuseppe - 26. P. Baggio Guido - 27. Fr. Dellavalle Luigi - 28. P. Lucca Dello - 29. P. Mssa Luigi.

Missionari della Consolata del gruppo non compresi nella foto rafia:

1. P. Rolfo G.B. P. Benedetto Pietro 3. P. Fassino Giovanni - 4. P. Toselli Giovanni - 5. P. Serale Giovanni - P. Andrione Carlo - 6. P. Cavicchi Edmondo 7. P. Riva Efisio - 8. Fr. Cosa Vincenzo - 9.Fr. Viola Bruno - 10. Fr. Ratti Francesco - 11. Campagnola Giacomo - 12. Gavazzi Giulio Fr. 13. Fr. Righi Celestino

N.B. Gli ultimi nomi, per completare la lista, sono stati ricavati dalle firme apposte sul retro della pergamena offerta al sottoscritto nel 25° anniversario della Professione religiosa (7 Ottobre 1941), che firmarono pure il medico missionario Dott. Paolo Chiono, e il comandante interno del campo, dott. Antonio Baretta.

Il campo era sistemato sul sito di una miniera chiusa di diamanti e utilizzava i dormitori-baracche in cemento o terra battuta coperte di lastre ondulate, dia' abitazione degli operai negri che lavora­vano nella miniera. Era circondato da tre ordini di validi reticolati. Conteneva allora circa un migliaio di internati italiani dal Sud Africa, Rodesia, Tanganyika e Kenya. La vigilanza lungo i reticolati era molto molto severa, ma all'interno i prigionieri godevano una certa tolleranza; ciò specialmente agli inizi della guerra, in fatto di politica e conseguenti diverbi. Risalivano a quei tempi le decorazioni sui muri, come quella dello sfondo della fotografia.

Al nostro arrivo fummo distribuiti nelle diverse baracche. La nostra influenza nell'ambiente fu di grande beneficio, come mi confidava il Comandante Schiaffino, già capitano della motonave "Timavo" salutandomi alla nostra partenza per il Kenya, ringraziandoci e asserendo che grazie alla nostra influenza e alla nostra opera di persuasione non era avvenuta nel campo nessuna soppressione di persone, come era noto che avveniva in altri campi per motivi politici. (p. Merlo Pich, Torino 25 luglio 1977)


Da notare che avevano scelto come sfondo il muro sul quale uno sconosaciuto artista aveva ricostruito un angolo d’Italia, con la monarchia e il regime fascista.

Ora, a ottant’anni di distanza, la citta’ di Koffiefontein, famosa per la sua gigantesca miniera di diamanti e per il suo nome ( Koffiefontein nella lingua dei Boeri vuol dire “caffettiera” ) ha recuperato I due grandi ritratti alti quasi due metri , li ha protetti dalle intemperie e ne ha fatto un’attrazione turistica. Non conoscendo la lingua e la storia italiana, hanno attribuito I due ritratti al pittore “Fascio”, nome che si leggeva sul muro.

Il signor Malcolm Judd ci scrive dal Portogallo:

“Sto studiando la storia di una busta che ho comperato e grazie ad Emilio Coccia , Curatore del Museo Zonderwater in Sud Africa, ho potuto ottenere informazioni su Padre Rosci Dott. Corrado al quale era stata indirizzata. Seguendo I link su internet ho trovato il vostro sito nel quale compaiono molte altre informazioni sul Campo di internamento di Kabete dove era stato rinchiuso Padre Rosci prima di essere trasferito in Sud Africa con la nave S.S.LLangibby Castle. Nel vostro sito c’e’ anche una foto dei Missionari sulla quale ho ritrovato con gioia la foto di Padre Rosci. Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere avere uno scan della busta. Sapreste dirmi perche’ la busta era stata rispedita all’Ospedale di Pretoria? Mi chiedo se Padre Rosci si trovasse la’ come paziente o come sacerdote? Cordiali saluti”

Siamo lieti di pubblicare questa storia con la foto della busta. Per puro caso il nome di Padre Rosci e’ il primo della lunga lista che accompagna la foto di gruppo. Non sappiamo perche’ fosse stato indicato l’Ospedale di Pretoria che dista 600 km da Koffiefontein. Ora conosciamo anche il nome della nave che ha trasportato I Missionari dal Kenya al Sud Africa.

Dalla Casa Madre dei Missionari della Consolata abbiamo ottenuto altre notizie su Padre Rosci.

Sappiamo che si era laureato con lode nel 1937 e che dal 1938 era stato Missionario in Kenya. Prima di partire si era diplomato presso la Scuola Missionaria di Medicina e Chirurgia d’Urgenza creata a Roma dall’Ordine di Malta gia’ nel 1933, e che dopo quattro anni di prigionia a Koffiefontein in Sud Africa era tornato in Kenya nell’agosto 1944 continuando l’apostolato a Gatanga, Kerugoia, e Kyeni.

DUE CAPPELLANI MILITARI DELLA CHIESA EVANGELICA VALDESE

Il Pastore Giovanni Bertinotti e il Pastore Edoardo Micol erano missionari valdesi in Eritrea. Richiamati alle armi nel 1940, fatti prigionieri, sono stati entrambi inviati in prigionia in Kenya dove sono rimasti per sei anni.

Antonio Panzone

Ringraziamo il dr. Felice Panzone per il materiale fotografico riportato da suo zio prigioniero a Kabete.

Il dr. Panzone e’ webmaster dell’interessante sito http:litoranealibicabalbia.altervista.org che segnaliamo a quanti desiderano cconoscere il lavoro degli Italiani nelle loro Colonie.

IL SERVIZIO POSTALE

A Nairobi veniva effettuato lo smistamento della posta in arrive per tutti I campi del Kenia.

“Il servizio postale è svolto dal PW Central Post Office (con personale italiano), istallato nel campo n. 351, e tutto il personale merita un vivo plauso, sia per la rapidità, che per l’esattezza del servizio stesso.” (Dalla Relazione Melis)

Una lettera al padre

Dal sito ISREC Prigionieri parmensi nella Seconda Guerra Mondiale riproduciamo con la loro autorizzazione questa toccante lettera del figlio al padre Aimone Costi, prigioniero nel Campo 351 di Nairobi, che non ha ancora potuto conoscere.

Lavoro dei prigionieri

Dopo l’8 settembre 1943 I prigionieri che avevano accettato di collaborare sono stati impiegati in numerose attivita’ del posto. Il Rapporto Melis riporta che a Nairobi dei 3000 prigionieri presenti quasi tutti si erano espressi per la monarchia. Nella base della RAF a Eastleigh, alla periferia est della citta’, dove si trovava il primo aeroporto di Nairobi, molti prigionieri sono stati impiegati nelle riparazioni dei motori d’aereo. Nel Museo Virtuale Kresy Siberia che conserva la memoria dei Polacchi che hanno combattuto in patria e all’estero ci sono molte fotografie delle ragazze polacche che hanno lavorato nella base della RAF di Eastleigh a Nairobi durante la Seconda Guerra Mondiale. C’e’ una foto di gruppo del 1943 dove se ne contano almeno sessanta, e una scena che deve essere stata familiare ai prigionieri italiani. Non abbiamo trovato invece foto che ritraggono prigionieri italiani nel campo d’aviazione di Eastleigh.

Il campo di Ruaraka

La pianta indica dove si trova il campo di aviazione di Eastleigh e, in alto a destra, la zona di Ruaraka.

Campo 352 – NAIVASHA / MORENDAT
Latitudine 0° 67’ 11” S
Longitudine 36° 38’ 64” E
Altitudine 2000m slm
170 km distanza da Nairobi

Dopo l’8 settembre 1943 a Naivasha (10.000 prigionieri) una piccola percentuale restò fascista(Rapporto Melis).

La posta dei prigionieri

Riproduciamo una lettera spedita da un prigioniero del campo 352 di Naivasha, uno dei piu’ grandi in Kenia. Si noti la Sezione G, ce n’erano dunque almeno sette.

Il sig. Angelo Chemello ci scrive: : ” In questa occasione le allego l’immagine di un quadretto allestito da un reduce.

Si tratta del soldato Armando Benvenuti, originario di Barbarano (VI), in forza al 10° Reggimento Granatieri di Savoia stanziato ad Addis Abeba ed inquadrato nella Brigata omonima , diventata poi Divisione.

Dal quadretto si evincono dei particolari assolutamente preziosi:

Il santino dell’Immacolata Concezione è incorniciato da un lamierino di recupero, per proteggerlo dal deterioramento causato dai numerosi trasferimenti del prigioniero. Nella parte superiore era presente della celluloide, poi completamente disgregata.

Gli alamari rosso-blu posti a fianco del santino, sono quelli esclusivi dei Granatieri di Savoia.

Il fregio metallico di fattura assai artigianale, è stato ricavato dal fondello di un barattolo di alluminio

Il quadretto riassume dieci anni di vita del soldato, dal 1936 al 1946: la Guerra, sei campi di prigionia in Kenya piu' quelli in Inghilterra.

L’oggetto esagonale in cartone pressato è la tessera identificativa del Soldato Armando BENVENUTI, prigioniero nel Pow’s camp di Naivasha: camp 352 – pow 16130. .

Collezione A.Chemello

La distribuzione delle uova

Il signor Giuseppe Gulli ha voluto condividere questo ricordo di suo padre, il Caporal Maggiore Eugenio Gulli, prigioniero per sette anni nel Campo di Naivasha.

“Se non ricordo male si occupava anche della distribuzione delle razioni ; in proposito mi pare di ricordare che distribuiva le uova, di dimensioni irregolari, un giorno partendo dal piu’ basso in grado, e il giorno successivo viceversa, iniziando dal piu’ alto in grado, questo per equita’.”

Campo 353 – GILGIL
Latitudine 0° 13’ 0” S
Longitudine 36° 38’ 0” E
Altitudine 2000m. slm
180 km distanza da Nairobi

L’ubicazione estta del campo non ci e’ nota. E’ probabile che occupasse l’area della caserma attuale (Gilgil Fighting Barraks, sulla mappa) data anche la vicinanza della stazione ferroviaria.

Gli Archivi del Comitato Internazionale della Croce Rossa possiedono diverse foto del campo di Gilgil, che ci hanno permesso cortesemente di riprodurre.

Il campo 353 di Gilgil ospitava 250 prigionieri italiani, tra i quali c’erano molti operai specializzati. Sono loro che hanno costruito i ponti sui fiumi Malewa e Moridat, che sono ancora in uso, pur essendo stati riparati da allora. Hanno anche costruito strade asfaltate e asfaltato il campo per le esercitazioni militari della caserma di Gilgil. Si puo’ concludere che i prigionieri italiani hanno contribuito allo sviluppo attuale della citta’ di Gilgil costruendo l’infrastruttura che forma la base di quella attuale . (Dalla Relazione Melis)

Mons. Trossi, Ten. colonnello cappellano della Regia Marina e già capo dell’Assistenza Spirituale dell’A.O.I. risiede ora al campo n. 353.

Dopo l’8 settembre 1943 a Gilgil (3500) l’80 per cento dei prigionieri si dichiaro’ fascista. (Dal Rapporto Melis)

Il circuito Langalanga

La rivista Old Africa N. 89 (giugno-luglio 2020) riporta una lettera di Geoff Nightingale, che ricorda il vecchio circuito di Gilgil chiamato Langalanga ( in Masai “in giro in giro) dove negli anni Cinquanta si svolgevano corse di auto e moto. La strada, scrive, correva lungo un lato del vecchio Campo di Prigionieri di Guerra. Il circuito e’ stato chiuso nel 1956 a seguito di un incidente mortale, e successivamente spostato, con lo stesso nome, nei pressi del lago Nakuru.

Una passeggiata fuori dal campo

La Prince of Wales School di Kabete era stata istituita nel 1931 dalle autorita’ britanniche come scuola secondaria per i ragazzi inglesi della Colonia. Nel 1942 un gruppo di allievi si vantava di avere “ catturato dei prigionieri italiani”. In gita una domenica si erano imbattuti in un gruppo di prigionieri e avevano segnalato il fatto al preside che aveva avvertito le autorita’. Piu’ che di fuga si era trattato di una “passeggiata non autorizzata” fuori dal campo di Gilgil, al quale dovettero presto fare rientro.

Altra breve “fuga”

Il Dott. Balletto (quello della Fuga sul Kenya ) un giorno fuggì dal campo di Gilgil per andare a trovare un amico genovese in un altro campo, credo a Naivasha. Passò con lui un giorno e rientrò clandestinamente come era uscito, dopo oltre ventiquattro ore di marcia fuori ogni sentiero e una nuova sfida alle sentinelle armate. Il comando inglese neppure si sarebbe accorto della sua assenza se non ci fosse stata la solita spiata.

Posta dei prigionieri

Ecco una lettera spedita ad un prigioniero nel campo di Gilgil

Un testimone d’eccezione

A fine 1941 arriva nel campo di Gilgil Giuseppe Scannella, siciliano di Campofranco in provincia di Caltanissetta.

“Entrare in questo enorme campo di prigionìa N° 353 di Gilgil, ci fa una certa sensazione perché non immaginiamo ancora il sistema di vita e le condizioni ambientali cui saremo sottoposti né tantomeno la durata di tale stato di privazione della libertà. La prima cosa che si nota è senz’altro costituita dalle dimensioni veramente eccezionali: qui trovano posto ben 4.000 prigionieri distribuiti in tre campi riuniti, separati soltanto da un semplice reticolato. Di questi, il primo è il più in vista, mentre il terzo, essendo su un piano sottomesso rispetto agli altri due, è il più defilato e poco visibile. Ogni campo presenta un numero imprecisato di baracche, all’interno delle quali ci sono gruppi di due letti sovrapposti a castello; per sopperire poi alle necessità più gravi o urgenti, c’è anche un complesso ospedaliero suddiviso in due sezioni: quella gestita da personale italiano e l’altra da personale inlgese (vedi foto n° 62). Io vengo assegnato al Campo N°1 – Baracca n°78, dove scelgo subito il letto inferiore vicino all’ingresso. Preso posto, immediatamente slaccio le scarpe troppo strette per i soldi nascosti, che trovo tutti bagnati di sudore ma per fortuna non rovinati. Mentre sistemo il tutto alla meglio, veniamo chiamati per il rancio: una cucchiaiata di riso con un po’ di verdura, 2 patate, 2 pezzettini di carne ed una fettina di pane.” Osservatore attento descrive persone e avvenimenti con precisione fotografica, senza pregiudizi, e senza mai perdere la sua dignita’. Protesta presso il comandante del campo perche’ gli erano stati sottratti dalle guardie alcuni orologi e li rivuole. “Ma come osa darci dei ladri – gli fa il comandante.” “Lo dico perche’ e’ vero” e ottiene di essere rimborsato

Nel campo riprende la sua professione di orologiaio e perfino gli ufficiali inglesi gli affidano i propri orologi. Fa un prestito a un prigioniero siciliano che non conosce; il padre di quest’ultimo lo rimborsera’ alla sua famiglia.

Le sue memorie sono apparse a puntate sul mensile “ La Voce di Campofranco”, e cerchiamo di ottenere le fotografie che Giuseppe Scannella aveva riportato dalla prigionia: la chiesa costruita dai prigionieri, gli spalti per assistere alle attivita’ sportive.

“Memorie d’Africa” sono state pubblicate dal figlio Vincenzo nel 2011.

Giuseppe Scannella, scultore

Giuseppe Scannella scrive di una chiesa costruita dai prigionieri nel Campo No. 2 di Gilgil e descrive un bassorilievo in legno scolpito da lui e raffigurante un Cristo morente. L’opera, esposta alla Mostra Nazionale del Kenya nel 1943, ricevera’ il 1° Premio. Successivamente scolpira’ una Madonna di Lourdes, aiutato da un compagno di prigionia, Vincenzo Di Lena da Mussomeli. Le opere sono riprodotte nel suo libro Memorie d’Africa.

Prigionieri Israeliani

Dopo il rimpatrio dei prigionieri italiani le autorita’ britanniche, che all’epoca esercitavano il Mandato sulla Palestina, hanno utilizzato il campo di Gilgil per rinchiudervi numerosi immigrati ebrei, accusati di terrorismo.

Dopo un po’ le guardie britanniche del Campo si erano stancate delle continue richieste dei prigionieri israeliani e hanno permesso alla comunita’ ebraica di Nairobi, che allora contava circa 150 famiglie, di assistere I loro correligionari. La comunita’ ha creato un Centro per insegnare loro diversi mestieri al fine di tenerli occupati, oltre ad incoraggiare pratiche culturali e religiose ebraiche.

Comunque, cinque detenuti guidati da Yaakov Maridor sono riusciti a fuggire con l’aiuto di un rabbino Sud Africano e la loro fuga e’ stata riportata da diverse testate internazionali, tra cui l’inglese Daily Mail.

Il 12 luglio 1948 il loro esilio africano ebbe fine, e 262 internati del Campo di Gil Gil hanno potuto raggiungere le acque territoriali dello Stato di Isrele creato dalle Nazioni Unite.

Campo 354 – NANYUKI
Latitudine 0°00’20” N
Longitudine 37°02’10” E
Altitudine 1946 m. slm
195 km distanza da Nairobi

Una coppia di Sudafricani, Willem ed Eva Louw, che hanno percorso mille chilometri in bicicletta, scrivono il 17 marzo 2017 nel loro blog : “ siamo passati vicino ad una immensa (huge in inglese) base militare inglese vicino a Nanyuki, e crediamo che questa fosse la stessa area su cui sorgeva il campo di prigionia della seconda Guerra Mondiale”.

In un altro blog, dedicato all’aviazione militare del Kenya, leggiamo invece che “ l’ex campo di prigionia 354 era diventato dopo la guerra un punto dui rifornimento della Shell/BP per gli aerei diretti verso la frontiera a nord. Poi ha preso nome di Laikipia Air Base, e si trova a 8 km. da Nanyuki.”

A Nanyuki, capolinea del tronco ferroviario proveniente da Nairobi, vi è il campo (una volta di 3 mila prigionieri civili) n. 354, in cui sono stati concentrati quasi 800 civili prigionieri politici. Nello stesso distretto sono piccoli campi di lavoratori militari e la grande officina « 48 G.T.» di riparazioni autoveicoli, ove cooperano 200 operai italiani. (Dalla Relazione Melis)

Trovata su internet senza indicazione di origine , questa imagine del campo di Nanyuki ha sullo sfondo ben visibile il Monte Kenya.

Fuga sul Kenia – 17 giorni di liberta’

Nel campo di Nanyuki e’ stata preparata e portata a termine la piu’ famosa fuga da un campo di prigionia in Kenia. Felice Benuzzi, triestino, il dott. Balletto e Enzo Barsotti hanno organizzato con mezzi di fortuna e nella massima segretezza una scalata alla cima del Monte Kenya , durata diciassette giorni, e conclusa con il loro rientro volontario.

L'ufficiale comandante del campo si chiamava Roberts.

Per preparare la scalata Benuzzi disponeva solo di una riproduzione della montagna che figurava sulla etichetta di una scatola di carne e verdure prodotta in Sud Africa.

Ecco l’etichetta che e’ servita a Felice Benuzzi per progettare la scalata. Ci e’ stata fornita cortesemente dal Centro Documentazione del Museo Nazionale della Montagna – CAI Torino, che ringraziamo vivamente.

IL TIMES DI LONDRA

Anche il Times di Londra ha dato notizia della scalata dei tre prigionieri italiani con questa simpatico commento. “Il Kenya e’ in debito verso I prigionieri italiani che hanno costruito l’unica strada decente della nostra Colonia. Ora I tre prigionieri di guerra italiani sono in debito verso il Kenya per la piu’ bella avventura della loro vita.” La notizia della scalata figura su una copertina della Tribuna Illustrata e su quella dell’Illustrazione del popolo del tempo. Il libro di Benuzzi, pubblicato in inglese e in italiano, ha avuto grande fortuna. Tradotto in francese e in tedesco, ha avuto diverse edizioni italiane ed ha ispirato due film girati in Kenia. Il dott. Adriano Landra e’ stato il primo italiano ad arrampicarsi sul Monte Kenia dopo la scalata leggendaria di Benuzzi e Balletto. “Nel raggiungere Point Lenana , dove anni prima I miei connazionali avevano issato il Tricolore – racconta Landra – trovai piantati nella roccia i ramponi usati dai due prigionieri. Li riconobbi perche erano stati fabbricati con le scatole di tonno e sardine , come mi avevano raccontato. Piu’ avanti c’era anche un pezzo di corda. Sono tra i cimeli piu’ cari che conservo.”

Posta dei prigionieri

Ecco una cartolina spedita dal campo 354 Sezione D, di Nanyuki


Il monte Kenya in un quadro di Felice Benuzzi

Il sig. Angelo Chemello, che ringraziamo sentitamente, ci scrive

A questo proposito le allego due immagini di oggetti assai rari, prodotti in loco dai POW italiani. Un bottone metallico e una tessera in legno-vetro. Quest’ultima mi è stata donata dagli eredi del soldato Ettore Schiavon di Padova, classe 1911. Schiavon era un soldato della Divisione Sabauda, con cui aveva combattuto per la conquista del’Abissinia nel 35-36. Era poi rimasto in Abissinia presso la “Colonia Agricola di Olettà”, sino alla cattura da parte britannica avvenuta nell’aprile 1941

La tesserina riporta delle indicazioni assai preziose: il legno è di Grevillea robusta, una specie non autoctona importata largamente dai britannici durante il loro periodo coloniale. Il vetro scheggiato non è tagliato al diamante, ma grattato con mezzi di fortuna. La parte sottostante di colore celeste riporta la siglia NC, cioè non cooperante, con i due trasferimenti del prigioniero: Nanyuki e Njeri, dal 1941 al 1946. Nella parte destra sopra il numero di matricola del POW, la bandiera italiana è riportata al contrario e senza stemma sabaudo (tutto chiaro no?), con la scritta “NON PIEGO”.

Ricordiamo che il sig.Chemello ha volute ripercorrere i luoghi dove era stato prigioniero suo zio, con la vecchia ferrovia da Mombasa a Nairobi, poi in macchina fino a Nanyuki e a Nord fino a Jinja in Uganda. Il viaggio e’ descritto in un suo articolo che compare nella Bibliografia.

Collezione Angelo Chemello

Collezione Angelo Chemello

Campo 355 – NYERI
Latitudine 0° 24’ 59” N
Longitudine 36° 56’ 59” S
Altitudine 1773 m. slm
150 km distanza da Nairobi

Il campo 355 di Nyeri si trovava in realta’ lontano 10 km dalla citta’ di Nyeri, vicino al villaggio di Kiganjo, a Nyeri Station, alla stazione del treno che da Nairobi proseguiva verso Nanyuki (Campo 354).

Sul luogo del campo di prigionia ora sorge il Kiganjo Police Training College. Un centro di addestramento della polizia era stato istituito a Nairobi gia’ nel 1911. Nel 1948 il Centro si e’ trasferito da Nairobi a Kiganjo, Nyeri in quello che era stato un campo di prigionieri di guerra italiani.

 

 

Ospedali

Third General Hospital di Nyeri che, dall’agosto c.a., ha assunto il nome di « Italian Central Hospital » (non ancora in uso per gli indirizzi), alle dirette dipendenze dell’East Africa Command. È una vasta ottima organizzazione, trattandosi di un ospedale di 600 letti, con tutte le specialità: medicina, chirurgia, oculistica, otorinolaringoiatria, neuropsichiatria (150 letti) e tisiologia (70 letti) e fornito di gabinetto radiologico, batteriologico e odontoiatrico; mancano soltanto gli strumenti per le indagini urologiche, per le quali i pazienti vengono inviati all’ospedale inglese di Nairobi. I medici del 3.G.H. sono degli ottimi professionisti e l’assistenza prodigata agli ammalati è molto buona

Per l’ospedale di Nyeri, la Chiesa è stata molto aiutata dalla vicina Missione della Consolata, il Vicariato Apostolico di Nyeri, ove alcuni elementi del personale dell’ospedale possono recarsi a far visita.

Lord Baden-Powell

A Nyeri si era ritirato a vivere, nel 1939 nel Paxtu cottage, Lord Baden-Powell, fondatore del movimento dei Boy Scouts. E’ morto nel 1941 ed e’ sepolto nel cimitero vicino.

Squadre di calcio

A Nyeri c’erano due squadre di calcio di prigionieri italiani, la A.S. Libertas Nova, e il G.S.Vittoria, la prima vincitrice della Coppa Castellani nel 1942 e di du campionati di calcio nel 1943 e 1944.

La posta dei prigionieri

Ecco due esempi di corrispondenza inviata ad evacuati civili del campo 1 A e 1 B di Nyeri.

Sacrario Militare Italiano di Nyeri

Per raggiungere il Sacrario Militare Italiano di Nyeri uscire dalla citta’ sulla C70 (ripida discesa verso il ponte sul fiume Chania). In cima alla altrettanto ripida salita prendere la strada a sinistra, e subito dopo nuovamente a sinistra. Ai due incroci non c’e’ segnalazione del Sacrario che si trova sulla destra, ben segnalato, a circa 4 km. dall’incrocio, su terreni della Consolata.

PEDERZOLI Luigi, P.O.W. 18962

Luigi Pederzoli fu fatto prigioniero a Gimma nel giugno del 1941 e da Mombasa fu portato a Naivasha, e poi Eldoret, Nanyuki, Jingia, Nyeri e infine a Zonderwater SA. Rimpatriato nel gennaio 1947. La signora Luisa Pederzoli ( Emily Spenser) , figlia di questo prigioniero, ha volute ricordarne la vita e la prigionia con un e-book nel quale ha raccolto memorie, fotografie e documenti della sua vita in Africa Orientale, poi in prigionia in Kenya e in Sud Africa, prima del ritorno in Italia dove ha finalmente trascorso una vita felice e serena. Non e’ un romanzo, ma un atto d’amore filiale del quale raccomandiamo la lettura a quanti volessero rendersi conto del lavoro, dei sacrifici, della forza di volonta’ sostenuta dall’amore della famiglia di un prigioniero. Grazie, signora, per averci permesso di includerlo negli Allegati.

Lo spirito scout

II dott Lucio G. Costantini, che ringraziamo sentitamente, ci invia questa pagina del “ Pellicano pataccaro”, organo dell’AICOS, Associazione Italiana Collezionisti Scout, pagina che riproduciamo integralmente .

E’ una storia di grande interesse umano, che mostra come anche nel grande conflitto in cui erano coinvolti, su fronti opposti, Italia, Regno Unito e dozzine di altri paesi, lo spirito scout ha prevalso, quando il comandante inglese ha permesso a sei ufficiali italiani, prigionieri del Campo 355, di assistere, sotto scorta armata, alle esequie del Fondatore dello Scoutismo internazionale, lord Baden-Powell a Nyeri nel gennaio del 1941.

Campo 356 – ELDORET
Latitudine 0° 31’13” N
Longitudine 35° 16’11″ E
Altitudine 2116 m slm
310 km distanza da Nairobi

L’ubicazione esatta del campo 356 di Eldoret non ci e’ nota.

Ma un libro di memorie di coloni inglesi ricorda che “prima della guerra c’erano le corse dei cavalli a Eldoret, ma il bell’ ippodromo del Uasin Gishu Racing Club e’ diventato un campo di prigionieri durante le guerra e le corse non sono piu’riprese”.

“Racecourse” o campo corse e’ il nome di un distretto elettorale della citta’ di Eldoret, il nome di una scuola, e di un ospedale.

Ringraziamo l’ing. Alessandro Ando’ per la cartina che pubblichiamo, che individua l’ubicazione del campo 356 nel luogo del vecchio ippodromo di Eldoret, ora scomparso.

A Eldoret ricordano ancora il campo di prigionieri italiani

Nel 2002 e’ uscita una pubblicazione ricordo degli ex allievi della Hill School di Eldoret, nella quale veniva nominato il campo di prigionieri italiani “ che si trovava all’interno dell’ippodromo”. La pubblicazione era bilingue, in africaans e inglese. Eldoret era stata fondata nel 1902 da coloni Boeri arrivati dal Sud Africa.

Nel campo n. 356 di Eldoret vivono circa 3.500 ufficiali, con quasi 1000 uomini di truppa, che sono addetti ai servizi del campo. Il numero degli ufficiali ha subito solo una lieve riduzione, poiché molto limitato è stato il loro impiego e il loro esodo oltremare. È un campo legge drmente migliore degli altri rispetto agli impianti e in genere sotto ogni altro rapporto, essendo l’unico campo ufficiali con quello di Londiani. Vi sono mense, sale da studio, una specie di università con corsi di varie discipline, Quattro Chiese, campi e sale per gli sports, quattro teatri, ecc. Gli ufficiali possono uscire a passeggio per alcune miglia lungo una strada delle belle campagne circostanti. (Dal Rapporto Melis)

Gli Archivi della Croce Rossa Internazionale di Ginevra ci hanno cortesemente concesso di riprodurre una foto delle baracche del campo 356 di Eldoret.

Foto del Gruppo ufficiali italiani della baracca 10/B del POW Camp di Eldoret, anno 1943.

Collezione Angelo Chemello

Il comandante del campo

Si conosce il nome del comandante inglese del campo356, il Colonnello Stitt. Si sa anche che militari ugandesi erano adibiti a servizio di guardia al campo di Eldoret.

Il comando generale del campo

Dopo la morte del Duca d’Aosta il comando venne assunto dal Generale Nasi che produsse come primo atto nel giugno del ’42 l’accordo di Eldoret concernente l’impiego di prigionieri in attivita’ lavorative che non avessero rapporto con le attivita’ di Guerra.

Nel campo 356 di Eldoret venne costituito il comando generale dei campi di cui facevano parte quattro sottocomandi. Il Generale di Corpo d’Armata Scala divenne il comandante generale dei campi. I sottocomandi erano diretti dal Generale di divisione d’area Sabatini per il campo A, dai Generali Jaume, Sirigatti e Bertello per il campo B, dal Generala Zauli per il campo C, e dai Generali Pialorsi e Tosti per il campo D.

Ospedale e convalescenziario

Ospedale del campo n. 356 di Eldoret: è l’infermeria elevata ad ospedale: è costruito in muratura ed è dotato di gabinetto radiologico, di laboratorio d’analisi e di un’attrezzata sala operatoria, che consente di effettuare qualsiasi genere di operazioni. Esso funziona pel campo 356 e fa il servizio radiologico anche per i campi viciniori. Il trattamento è quello di un ottimo ospedale

Convalescenziario di Eldoret (campo n. 356): di 100 letti, per soli ufficiali, anch’esso bene organizzato e gradito soggiorno per convalescenti o cronici. (Dal Rapporto Melis)

Lezioni nel Campo di Eldoret

Ringraziamo il professor Adolfo Santini per il materiale che ha voluto cortesemente inviarci relativo alla prigionia di suo padre, il tenente di Artiglieria di Complemento Ivo Santini, POW 35126 a Eldoret. Si tratta di alcune interessanti novita’per il nostro sito, come un quaderno distribuito ai prigionieri stampato a Bombay in India! Troviamo per la prima volta un quaderno “Stampato appositamente per il Campo di prigionia di Eldoret” a Nakuru.

Abbiamo le note che il Tenente Santini aveva predisposto per le lezioni che si tenevano nel Campo. Sono le sue note manoscritte, con numerose illustrazioni tecniche, che lo indicano come istruttore e non come allievo, data la sua lunga esperienza precedente in materia di costruzioni edili e stradali in Italia e in Africa Orientale. E sono state scritte senza disporre di manuali.

Il sig. A. Chemello ci invia queste informazioni sulla vita nel Campo di Eldoret

Eldoret: come sicuramente saprà questo grande campo, allestito presso il campo corse ubicato sulla strada tra Eldoret e Kisumu, era diviso in più recinti. Il recinto minore conteneva gli ufficiali superiori italiani, definiti dagli ufficiali inferiori “i Licaoni”, perchè le distribuzioni di vestiario e vettovaglie iniziavano sempre dai superiori, che regolarmente si accaparravano le maggiori quantità e le maggiori qualità. Quello che avanzava veniva distribuito nei recinti degli ufficiali inferiori. Soltanto chi decise di cooperare con l’amministrazione britannica ricevette del vestiario decoroso. A questo proposito le invio la foto di uno scorcio del campo di Eldoret scattata da me nel 2004-2005. Le invio inoltre la foto del maggiore di Cavalleria Nicola Toriello, POW a Eldoret nel 1944, che veste una divisa di foggia assai britannica.

Squadre di calcio: ad Eldoret operavano regolarmente due squadre italiane di POW. Quella composta dagli ufficiali si chiamava “i picchiatelli” ed aveva come capo cannoniere Walter Vincentelli, che lei ha già menzionato nella biografia. Vi era anche una squadra saltuaria composta da graduati e soldati britannici, che però perdeva spesso, forse per la scadente qualità atletica dei partecipanti.

Scherma: ad Eldoret, ma probabilmente anche negli altri campi di detenzione degli ufficiali italiani, vi erano dei corsi e tornei di scherma. Questi venivano organizzati prioritariamente dagli ufficiali di Cavalleria, in quanto erano tra i pochi ad aver ricevuto la regolare istruzione durante il corso militare.

Lezioni: così come per le lezioni di di lingua (inglese, spagnola, swahili, portoghese, araba, etc) e di letteratura curate da ex insegnanti italiani richiamati alle armi, alcuni ufficiali di Stato Maggiore organizzavano delle lezioni di tattica militare antica, trattando le biografie di Von Clausewitz, Cesare, Napoleone, etc. Spesso a queste lezioni partecipavano anche dei giovani ufficiali britannici, che peraltro si chiedevano cosa ci facessero in Kenya dei prigionieri così eruditi.

Stampa: nella sezione B del campo di Eldoret fu organizzato un foglio informativo di carattere satirico chiamto “Dieci Bi” cioè come la baracca che ospitava la redazione. Questo era curato da Guido Costabile che aveva come pseudonimo Mahmud, cioè un funzionario della banca d’Italia in AOI richiamato alle armi nel 1940. Questo giornale peraltro permesso dalle autorità britanniche, non smise di uscire al rientro dei POW in Patria, ma funzionò sino ad alcuni anni fa quale collegamento tra i commilitoni della baracca 10 b. Credo sia possibile recuperare alcune immagini presso alcuni amici che acquisirono quel fondo alla morte di Coastabile.

Ricordi di testimoni oculari

Il tenente colonnello Egidio Furcas arriva in Kenia dopo essere stato fatto prigioniero in Etiopia il 22 maggio 1941 in un reggimento comandato dal tenente colonnello Alberto Cherosu: ‘Nel campo di Eldoret oltre alle baracche-alloggio, c’erano la mensa, la cucina, gli ambulatori, i servizi igienici, le docce, i lavatoi, i campi di calcio e tennis e una gabbia fatta con robusti tronchi dove, dagli Inglesi, venne allevata una leonessa”. ‘Le baracche, in ognuna delle quali eravamo alloggiati in 28, avevano le pareti di juta inchiodate a pali con un zoccolo di catrame dell’altezza di metri 1,50 e il tetto in lamiera ondulata. I letti erano a castello con le strutture di legno. Le reti e i materassi erano in fibre tessili, ricavate probabilmente dall’agave e dove per anni, fino all’arrivo del Ddt, costituivano il pasto delle cimici”. Egidio Furcas scrive: ‘Il primo giugno 1955 ci riunimmo a Brescia. Ricordando gli anni dal ’41 al ’46 trascorsi al 356 del Prisoner of War Camp di Eldoret facemmo rinascere il circolo culturale della 10/B dove, per tenere alto il morale si cercava di svolgere attività artistiche e sportive. Anche il Capitano Giovanni Piva descrive nelle sue memorie il suo arrivo e la sua lunga permanenza nel campo di Eldoret. Sempre nel campo, Paolino Onofri parla del suo orologio Cugola – una marca sulla quale da tempo cerchiamo notizie.

UN BAMBINO RICORDA

Un nostro vicino di casa, il sig. Dawson, Inglese nato in Kenya, ci ha detto che da ragazzo tre prigionieri di guerra hanno lavorato nella farm di suo padre a Eldoret e ancora oggi ne ricorda i nomi: Gaggero, Cortona e Facco! “Una volta, mentre mio padre mi accompagnava in collegio in Inghilterra, ci siamo fermati a Roma per fare visita al sig. Facco”.

UNA LUNGA FUGA IN TRENO

Ando’ male al maggiore Nino Pasti che, fuggito dal campo di Eldoret, nascosto su un treno merci, attraverso’ l’Uganda e il Congo Belga. La sua meta agognata era l’Angola, colonia portoghese, ma fu acciuffato a cento chilometri dalla meta.

SPETTACOLI TEATRALI NEL CAMPO DI ELDORET

IL QUARTETTO BORODIN

Nel 2018 la ricercatrice Elena Bellina ha pubblicato sull’autorevole PAJ – A Journal of Performance and Art dell’MIT Press (Massachusetts Institute of Technology) un articolo nel quale fornisce dettagliate informazioni sulle rappresentazioni teatrali nel campo di Eldoret. L’articolo e’ citato nella Bibliografia. Da una memoria inedita del cap. Mario Felli intitolata “How I saw a corner of Africa” (Come ho visto un angolo d’Africa, ) si scopre che nel 1942 quest’ultimo, assieme al fratello ten. Giorgio Felli, al ten. Visentin e al ten. De Poltronieri avevano creato il quartetto Borodin. Dal sipario ancora chiuso facevano spuntare, una dopo l’altra, le loro teste sovrapposte gridando ogni volta più forte : Borodin, Borodin. L’attenzione del pubblico era assicurata. Poi entravano in scena con grandi custodie per strumenti musicali dai quali estraevano piccolissimi strumenti, disponendo su grandi leggii spartiti in formato cartolina. Avevano composto la “ Canzone del POWiere” della quale cerchiamo le parole in italiano. Una traduzione in inglese e’ riportata nell’articolo.

Un pittore a Eldoret

Il Tenente Giuseppe BALBO, pittore, era stato ufficiale delle truppe coloniali in AOI, prigioniero prima a Mombasa poi a Eldoret.

In prigionia, continua la sua attività artistica: dipinge ritratti di compagni di prigionia, crea una scuola di pittura e scultura per quelli che desiderano accostarsi all’arte; collabora con sue scenografie a spettacoli teatrali per i prigionieri. Rientrato nella nativa Bordighera, Balbo e’ tra gli organizzatori del gruppo Pittori della domenica, promuove la mostra della Nuova Pittura Americana che fara’ conoscere in Italia l’opera di Jackson Pollock, Robert Motherwell, Clyfford Still, William Baziotes, Mark Rothko e che attira la presenza di personalita’ come Jean Cocteau e Peggy Guggenheim. Muore nel 1980.

Riproduciamo un intenso autritratto e due acquarelli di Giuseppe Balbo dipinti nel campo di Eldoret che colgono le atmosfere colorate e luminose dei paesaggi africani. Quando era prigioniero nel campo di Eldoret ha anche realizzato opere per i vescovadi di Nyeri (1942) e di Kisumu (1943). Ha lasciato , inoltre, sue opere nel Loreto Convent di Eldoret.

Molte sue opera si possono ammirare in internet.

FELICE “CINO” CANTIMORI

Giunto in Etiopia nel '37 e trattenuto in Africa dalla guerra, seguita dalla lunga prigionia (Kenya, 1941-1946),

Il 22 maggio del 1941 fu catturato dagli inglesi che lo internarono a Lafaruk (Somalia Britannica), poi a Gilgil (Kenya), quindi, dopo l'armistizio dell'8 settembre 43, poiché Cino non aveva nessuna intenzione di collaborare con loro, in altri campi di prigionia sempre in Kenya: prima a Londiani, quindi a Eldoret, nel cui campo 256 continuò a dipingere, collaborando agli spettacoli teatrali per i prigionieri e decorando il teatro.

Lì incontrò un capitano genovese, il quale, ironia della sorte, era stato arbitro della partita di calcio Russi -Forlì disputata il 22 maggio 1932 al Ghigi (per la cronaca i forlivesi vinsero 2 a 0), durante la quale fu ferito alla testa da una sassata. Beh, superato il primo momento di rabbia e imbarazzo, i due diventarono amici fraterni.

L'artista ha fatto rientro a Roma nel '46, dove ha conosciuto i protagonisti dell'arte italiana del dopoguerra come Guttuso, Mirko, Mazzacurati, ma, insofferente agli orientamenti dell'arte italiana di quegli anni, nel 1948 ha scelto di tornare in Kenya.

Da allora è vissuto in East Africa (Uganda, Kenia, Tanzania), fissando lo studio nel complesso dell'Uganda Clays presso Kampala e dedicandosi totalmente alla pittura, sempre in assoluta libertà, per seguire la propria poetica, affascinato dalla bellezza della natura equatoriale e dalla forza espressiva di luce e colore.

Negli anni '60 ha esposto con successo a Roma e in diverse città italiane (un breve scritto di Guttuso ha accompagnato il suo esordio nella capitale nel 1961).

I legami con la Romagna e il paese natale, Russi, sono rinati nel 1969, quando in collaborazione con la Pro Loco, l'artista vi ha tenuto la sua più grande personale, presentata in catalogo da Riccardo Bacchelli. Nel 1984 Cino ha fatto ritorno in Romagna, stabilendosi a Russi, dove ha vissuto l'ultimo fecondo periodo della sua lunga attività pittorica, conclusasi sul finire del 1988.

Il Museo Civico gli dedica una sala unitamente al pittore Silvio Gordini.

Ingegneri e periti minerari

Le baracche di Eldoret (Kenya) e Alberto Parodi in prigionia – il terzo in piedi da sinistra

Nel Campo di Eldoret il destino ha riunito un folto gruppo di ingegneri e periti minerari italiani che avevano effettuato importanti esplorazioni in AOI sotto la guida di Ardito Desio. Sara’ Ardito Desio nel 1954 ad organizzare la conquista del K2 da parte di Compagnoni e Lacedelli. Si tratta degli ingg. Pollini, Parodi, Rubini, dei Periti Minerari Zugno, Manca, Maschio, Puliga (che morira’ in prigionia ed e’ tumulato nel Sacrario Militare di Nyeri), De Pellegrini, Pierelli e D’Indri.

Queste preziose informazioni ci sono state fornite da Aurelio Fadda, che ringraziamo sentitamente. Il testo integrale e’ riprodotto negli Allegati del sito. Contiene la foto di ciascuno e notizie sulla loro formazione, ricerche in Etiopia, esperienze di guerra e di prigionia, nonche’ sulle attivita’ svolte dopo il loro rientro in patria. Il material e’ tratto dal suo libro “L’Africa di mio Padre. 10 anni di lavoro, guerra e prigionia fra Africa e India. 1936-1946”.

Una pompa per l’acqua azionata da una turbina a vento

Il dott. Massimo Nicoletti Altimari, che ringraziamo sentitamente, ci segnala di aver visto  nel 2008, non lontano da Eldoret, una pompa per l’acqua azionata da una turbina a vento, che era stata costruita dai prigionieri di guerra ed era ancora ancora perfettamente funzionante. Sul posto c’era una targa con I nomi degli Italiani che l’avevano costruita. Speriamo di ottenere un giorno la foto dell’impianto e  della targa con I nomi.

UNA BORRACCIA RADIO.. ATTIVA

“Le tribolazioni aguzzano il cervello” diceva Renzo, di manzoniana memoria, ed è vero. Un tecnico, nel campo, con mezzi rudimentali aveva costruito un apparecchio radio, con il quale, ogni sera, sapevamo l’andamento delle operazioni militari sui vari fronti. Se le notizie era buone, il trombettiere suonava il silenzio fuori ordinanza, migliorando l’umore e sollevando gli animi. L’apparecchio era nascosto, dentro una borraccia, in precedenza spaccata a metà. Dopo l’uso, essa tornava alla sua forma originale e il proprietario l’appendeva al palo della sua branda. Gli inglesi non riuscirono mai a trovarla. Il caldo umido, le zanzare e i fischi, simili a colpi di martello, dell’uccello martello, rendevano la notte tormentosa. Non riuscendo a dormire, una notte mi alzai ed incontrai il maggiore De Luca di Amaseno (FR) al quale dissi: “che disdetta! Qui non c’è neppure un sasso, per far tacere quel maledetto uccello!”

Carlotti, 1996 - pag.223 e segg. -da cui sono tratti alcuni stralci: "dopo la cattura venivano immatricolati con il numero preceduto dalla sigla POW (Prisoner Of War), erano quindi avviati ai campi di raccolta su camion o vagoni ferroviari ma più spesso a piedi e la custodia veniva affidata a truppe di colore al comando di pochi ufficiali bianchi.... In molti scritti i prigionieri lamentano anche che il cibo e il vestiario fu per lungo tempo scarso e insufficiente. Nei campi con detentore britannico, anche se spesso emerse il problema dell'indisciplina, la situazione si modificò in meglio poiché i graduati non furono più adibiti a lavori di corvée: gli inglesi pretesero che i soldati italiani rispettassero le funzioni dei graduati e dei sottufficiali... Le informazioni trasmesse sull'andamento della guerra - diffuse da altoparlanti posti nei piazzali - erano ovviamente solo quelle conformi alla logica ed agli interessi del detentore. Alcuni italiani riuscirono a costruire clandestinamente primitive radio galeniche [e nulla toglie che altrettanto abbia fatto Alfredo]: un sottotenente del genio telegrafista costrui al campo 356, nel Kenya, una radio e da quando l'apparecchio cominciò a funzionare stette in ascolto ogni notte con la cuffia alle orecchie per anni, in modo che al mattino ogni baracca avesse una copia del notiziario."

Squadra di calcio

Su internet troviamo che a Eldoret c’era una squadra di calcio chiamata “La vecia mata” della quale era segretario Osvaldo Perla.

Cerchiamo notizie su altre squadre di calcio.

Fughe

Dal campo di Eldoret ha avuto luogo una delle fughe piu’ rocambolesche, quella del principe Vanni Corsini e altri quattro prigionieri, dal Kenia fino al Mozambico distante 2800 km. Questa straordinaria vicenda vide coinvolti anche i tenenti Franco Tonelli, Mario Bonioli, il capitano Amedeo Marsaglia e l’allievo ufficiale Girolamo Nucci.

Contrasti nel campo

Dopo il 13 marzo 1943, data della proclamazione del governo Badoglio, i contrasti tra gli ufficiali fascisti e antifascisti divennero insostenibili e al fine di placare gli animi le autorita’ decisero di trasferire il Generale Gastaldi, antifascista e cooperante dichiarato, all’aeroporto di Eastleigh a Nairobi.

Nel 1944 a Eldoret (3,500 prigionieri) tre quarti erano per il re, un quarto per Mussolini. (Dal Rapporto Melis)

Dopo i prigionieri … i principi.

Le baracche abbandonate dopo il rimpatrio dei prigionieri sono servite ancora per un po’.Il principe Eustace Sapieha, discendente da una delle piu’ famose famiglie nobili polacche, e’ arrivato in Kenya nel 1948 dopo anni di prigionia in Siberia, con la famiglia e senza un soldo. Ha pensato di mettere su una segheria a Eldoret, dove sono stati inizialmente ospitati da un Europeo. Scoprono a poca distanza l’ex campo di prigionia 356 , con le baracche in uno stato di completo abbandono, ma con il tetto ancora buono.

Scrive il principe nel suo libro di memorie: “Ne’ l’esercito ne’ l’amministrazione sembravano interessarsene , per cui abbiamo scelto una baracca tra quelle che si estendevano per oltre cento metri, e mia madre, mia moglie incinta all’ottavo mese ed io ci siamo messi al lavoro. Abbiamo scoperto che l’acqua era ancora allacciata e l’abbiamo fatta arrivare fino alla nostra baracca. Abbiamo pulito il vecchio gabinetto esterno a caduta, ritagliando dei cuori sulla porta per mostrare se era occupato , e preso a prestito qualche mobile di legno dal nostro amico, abbiamo messo su casa.”

Campo 357 MITUBIRI
Latitudine 0° 59’ 48″S
Longitudine 37° 7’ 50″E
Altitudine 1473 m. slm
40 km distanza da Nairobi

L‘esatta ubicazione del campo non ci e’ nota.

L’ultimo saluto ai prigionieri

Il campo 357 era il piu’ vicino al monte Ol Donyo Sabuk dove si trovava prigioniero il Duca d’Aosta. Al momento del suo trasferimento alla clinica di Nairobi dove sarebbe morto poco tempo dopo, il Duca ha potuto transitare in macchina lungo questo campo per dare un ultimo saluto ai soldati assiepati dietro ai reticolati.

Eventi successivi all’8 settembre 1943

Il Rapporto Melis scrive che nel campo 357 di Mitubiri su 3500 prigionieri 150 “restarono fedeli a Mussolini”.

Il signor Pierangelo Magrini ci comunica di aver trovato una memoria manoscritta di suo padre, Giovanni Magrini, originario di Udine, classe 1915, che era stato Primo Aviere armiere della 412˚ Squadriglia, comandata dal Cap.Raffi prima di essere fatto prigioniero e inviato al Campo 357 di Mitubiri. Il manoscritto era stato redatto nel 1984 ed e’ dedicato ai suoi nipotini.

Siamo particolarmente lieti di questo contributo perche’ non avevamo molte notizie su questo campo. Ci siamo solo permessi di inserire dei sotto-titoli, lasciando fuori la parte che riguarda la successiva prigionia in Algeria e il rientro in Italia, per rispettare I limiti geografici che ci eravamo impost per questo sito dedicato alla prigionia in Kenya.

Un sincere grazie al signor Magrini per questo importante contributo dal quale apprendiamo come la scelta se collaborare o non fosse spesso dettata dal bisogno di stare con I propri commilitoni e come anche la costituzione delle squadre di lavoro fosse basata su rapport di amicizia.

La partenza per la prigionia

Ci imbarchiamo ad Aden, finalmente, diretti a Mombasa nel Kenya. Mombasa è un paradiso terrestre, un panorama magnifico, vegetazione eccezionale ed un discreto trattamento. Frutta esotica, mango, cocco, papaye ed ananas a volontà. Il vitto era quello che potevano permettersi gli Inglesi, dato che per i rifornimenti dovevano fare il periplo dell’Africa, dato che il Mediterraneo era troppo pericoloso.

Dopo un mese partenza per Nairobi.

Durante il tragitto con il treno ho potuto ammirare una buona parte degli animali feroci: leoni, ippopotami, etc. che correvano lungo i binari. Arrivo al Campo n° 357 (Mitubiri) comandato da un Tenente inglese che parlava molto bene la nostra lingua. Essendo lui un commerciante di salumi, aveva avuto prima della guerra affari con i nostri, particolarmente in Lombardia ed Emilia, ed aveva, nonostante tutto, ammirazione per il nostro Paese.

All’arrivo al Campo ed appena sistemati, un triestino, Ufficiale di macchina della Marina mercantile, viene incaricato dal Comandante inglese di formare una squadra di almeno 30 uomini validi, per portare l’acqua al nostro Campo.

Ci siamo presentati subito in numero sufficiente, la maggioranza dell’Aeronautica.

Si trattava di collegare i bacini di decantazione, distanti 5 km, al nostro Campo e fornire l’acqua potabile per bere e tutti i servizi.

Abbiamo lavorato come muli, però abbiamo avuto la soddisfazione di vedere il nostro lavoro ultimato a tempo di record, ricevendo anche i complimenti degli Inglesi.

Finito questo lavoro, ho fatto il capo della squadra igienica con il permesso di allontanarmi per un raggio massimo di 7 miglia (10 km circa). Avevo così l’opportunità di barattare il sapone da bucato, che avevo in esuberanza, con banane e uova, che consumavo con i miei amici Morgutti, D’Odorico e Ceccutti, tutti di Udine.

Una zittella inglese

Intanto frequentavo il corso di lingua inglese condotto da una bravissima persona, abruzzese di Silvi, e facevo dei rapidi progressi. Il Tenente inglese era a conoscenza di ciò ed anzi spesso mi interrogava finché un bel giorno mi chiede se voglio andare in una concessione (farm) a comandare una squadra di Kenioti per tagliare le agave, pianta dalle quali si ricava una fibra per fare le corde.

La proprietaria era un’anziana zitella inglese che dopo alcuni giorni ha incominciato a farmi il filo fino a stancarmi, finché sono stato costretto a lamentarmi con il Tenente inglese. Me ne sono andato tra le lamentele dei miei dipendenti neri.

Ormai ero entrato nelle buone grazie del Tenente inglese che mi trovò subito un altro incarico esterno con la promessa di non tentare la fuga.

Un tentativo di fuga

Dopo una lunga preparazione l’ho tentata lo stesso. Mi sono lasciato coinvolgere, e non me ne pento, da due miei carissimi amici: Gallai, friulano come me, e Marolla, napoletano. Non eravamo strettamente sorvegliati e una notte siamo fuggiti. Siamo partiti con un camion degli Inglesi dal Campo 357 (Mitubiri) per fare provviste per i campi di concentramento del Kenya. Non avevamo idea dove si andasse. L’autista era un nero Kikuyu (Keniota). Comunque, pensavamo di andare, magari con tanti sacrifici, in Mozambico, ma ci siamo sbagliati. Eravamo arrivati a buon punto, quando veniamo a sapere che i Portoghesi del Mozambico non ci avrebbero accolti e che quindi ci avrebbero rispediti al Campo di provenienza. Per non rifare la strada del ritorno a piedi ci siamo presentati alle autorità inglesi che ci hanno avviato di nuovo a Mitubiri. Inoltre era impossibile vivere con la gente con cui siamo stati in contatto, che era anglofila, per cui ci è convenuto costituirci.

L’autista ha riferito tutto al Comandante del Campo, ma ciò non ha avuto seguito, solo che io ho perduto il mio posto di lavoro, se così si può dire, e per un po’ di tempo ho dovuto fare il prigioniero comune.

La vita al Campo era monotona; mi sono dedicato al calcio e pallavolo e continuavo a studiare la lingua inglese. Mi rincresce molto di non aver studiato elettrotecnica, che mi sarebbe stata tanto utile in seguito.

La guerra per radio

Sentivo tutte le sere i commenti di guerra trasmessi da Radio Londra, in italiano, con gli speakers Colonnello Stevens e i socialisti Ruggero Orlando e Calosso.

Arriva l’8 settembre 1943 e l’Italia chiede l’armistizio.

Io speravo di andare a lavorare fuori dal campo di prigionia; ne sentivo il bisogno perché i prigionieri si erano divisi in due fazioni: fascisti e anglofili. Io ero neutrale e con me la maggior parte dei miei amici.

Comunque nel 1944 veniamo tutti interpellati per rispondere per iscritto se volevamo essere collaboratori o meno. Nel frattempo un generale dell’Aeronautica, Gastaldi, si è dato da fare perché noi della stessa Arma, fossimo inquadrati in compagnie di collaboratori. Io e molti miei amici abbiamo firmato per la collaborazione.

Nel settembre 1944 veniamo radunati e portati al Campo 351 di Nairobi, già divisi in compagnie. Pochi giorni dopo andiamo a Mombasa dove ci imbarchiamo sul piroscafo Duchesse of Richmond diretti in Egitto.

 

Un capolavoro d’intaglio
Questo intaglio su legno di Mvuli ( Melicia excelsa) di circa 80cm x 50cm  rappresenta il veliero che figurava sulla scatola di sigarette  Clipper. Il padre della signora Wendy Stanley lo aveva comperato quando abitava a Thika.  Il campo di prigionia piu’ vicino era il No. 357 di Mitubiri dove si trovava  probabilmente lo sconosciuto artista prigioniero .

Campo 358 – MAKINDU
Latitudine 2° 16’ 39” S
Longitudine 37° 49’ 29” E
Altitudine 1070 m. slm
171 km distanza da Nairobi

L’esatta ubicazione del campo non ci e’ nota. Non doveva essere lontano dalla stazione ferroviaria e dal Tempio indiano. A Makindu gli Indiani di religione Sikh avevano costruito gia’ nel 1926 un tempio, molto visitato ancora oggi.

IL CAMPO DI MAKINDU DESCRITTO DA DE MONFREID

“Al mattino, ai primi raggi del sole, su un'immensa pianura di erba giallastra, una stazione sembra annunciarsi con i suoi serbatoi zincati dell'acqua. Ma no, è la periferia di una città dice qualcuno, invece è un campo di prigionia, centinaia di baracche in cartone catramato che si allineano su chilometri quadrati. Poveracci, pensa de Monfreid, vivere in questo deserto... Quando lo fanno scendere, comincia a capire che in quel deserto ci dovrà vivere lui. È il campo di Makindu, un quadrilatero immenso diviso in venti settori recintati, ciascuno di trenta o quaranta baracche. Al centro, un campo di calcio con degli altoparlanti che, ogni sera, diffondono le notizie dell'Eiar di Roma. I bollettini trionfali dell'offensiva in Cirenaica, della caduta di Sebastopoli, dell'ecatombe di navi alleate nel mar Caspio, Ovazioni entusiaste li accolgono, sotto lo sguardo impassibile dei sorveglianti. È il 17 giugno del 1942 e capisce che gli inglesi vinceranno la guerra...”

Nel campo di Makindu e’ stato internato brevemente, tresferito dall’Uganda, il giudice maltese Sir Arturo Mercieca. Nelle sue memorie ricorda che “ ogni giorno venivano accesi dei fuochi per tenere lontani gli animali selvaggi dalle abitazioni”. Ricorda anche di aver visto il monte Kilimanjaro con la cima coperta di neve. E’ stato rimpatriato da Mombasa su una nave di lusso, il Batory, insieme a prigionieri italiani e polacchi.

Sir Arturo Mercieca e’ stato presidente della Corte Suprema (Chief Justice ) di Malta dal 1924 al 1940 quando e’ stato internato dalle autorita’ inglesi perche’ filo-italiano. E’ stato anche il fondatore della piu’ vecchia Unione Studentesca universitaria d’Europa, il Malta’s National University Students’ Council.

IL MONTE KILIMANJARO VISTO DAL CAMPO 358 DI MAKINDU

Il sig. G. Andrea Bizio Gradenigo ci scrive:

“Vi mando un disegno che fece mio Padre, prigioniero nel campo di concentramento di Makindo (allora scriveva così) in Kenia: con pochi pastelli e matite fece un disegno del profilo del Kilimagiaro, come lui lo vedeva dal campo”.

UNA FUGA FINITA IN TRAGEDIA

Nel maggio 1942 cinque prigionieri fuggirono dal campo 358 di Makindu ma si smarrirono nella zona del Kilimanjaro e incontrarono una sorte avversa. Quattro di essi, affamati e in preda alla disperazione, si impiccarono a un albero. Il quinto, Ernesto Tossi, fu salvato da un pastore indigeno. Fu lo stesso Tossi a descrivere la sua avventura al quotidiano di Nairobi ”The Sunday Post”.

Non lontano c’era un campo volante a Mackinnon Road, sempre sulla strada Nairobi-Mombasa. Roy Ashworth ricorda che ancora nel 1950 c’erano nel campo almeno tre prigionieri italiani che si rifiutavano di partire! Dopo il rimpatrio dei prigionieri italiani il campo di Makindu e’ stato adattato per accogliere sette-ottocento ragazze polacche e in tutto vi sono transitate circa trecento famiglie prima di essere trasferite in Inghilterra.

Ecco una lettera spedita dal Campo di Makindu

Campo 358 – MAKINDU
Latitudine 2° 16’ 39” S
Longitudine 37° 49’ 29” E
Altitudine 1070 m. slm
171 km distanza da Nairobi

L’esatta ubicazione del campo non ci e’ nota Non e’ stata trovata alcuna foto del campo.

Un campo costruito sul passaggio degli elefanti

Richard Allen, figlio di un ufficiale addetto al campo di Burguret , racconta nelle sue memorie che “gli Italiani avevano avviato delle coltivazioni di fiori e di ortaggi fuori dal campo, che erano state devastate da due migrazioni di elefanti tra il monte Kenya e la catena degli Aberdares, facendo scempio per ben quattro volte dei fiori e degli orti e abbattendo le recinzioni del campo. Recinzioni e orti sono stati ricostruiti ogni volta e nessun prigioniero era fuggito.”

A distanza di anni gli elefanti non hanno ancora perso il vizio. Nel novembre del 2018 un abitante della zona scriveva:

“Nella sola scorsa settimana gli elefanti hanno invaso ogni giorno I campi dei residenti di Ragati e Guara Burguret e le guardie non hanno risposto alle grida dei contadini.

Noi chiediamo un intervento urgente per risolvere la situazione. Si noti che abbiamo sofferto perdite di milioni per non dire miliardi di shellini negli ultimi venti anni o piu’.

Il numero degli elefanti e’ diminuito tremendamente e pensavamo che il Kenya Wildlife Service fosse interessato a proteggerli invece di lasciarli aggirarsi liberamente nei nostri villaggi. (Peter Waiguru Muthungu)”


Un orto nel Campo 359  di Burguret

Quando leggiamo di un orto creato in un Campo di prigionia, pensiamo  a qualcosa di modesto dietro ai reticolati.  Ma per il Campo di Burguret  dobbiamo ricrederci. Apprendiamo ora da una corrispondenza del signor Gianni Pofi  che era stato suo padre, esperto di agricoltura,  a creare gli orti a Burguret, su un appezzamento di dieci ettari, con annesso un allevamento di maiali.

Aveva suddiviso il terreno in dieci appezzamenti assegnandoli a ciascuna delle dieci Sezioni del Campo, per incoraggiare  uno spirito di competizione .

Elefanti a Burguret

Il dramma del prigioniero ucciso da una  femmina di elefante trova conferma anche nelle memorie del militare inglese.  Scrive FitzGerald:

“Nel campo di Burguret, mentre attendevo il mio turno sulla sedia di tortura del dentista, ho incontrato alcune vecchie conoscenze  ai quali ho chiesto notizie sulla foresta della montagna dato che il Campo di Burguret era molto piu’ vicino di quello di Nanyuki.

Le loro storie mi avevano fatto rabbrividire. Si sa che I prigionieri di guerra hanno l’abitudine di  distorcere I fatti piu’ elementari  e inventare delle favole, ma anche  mettendo in conto tutto questo, mi era sembrato che  la nostra marcia nella foresta   sarebbe stata  terribile. Avevo capito che gli orti  fuori  dal campo erano stati visitati piu’ volte da rinoceronti e bufali. Un distaccamento  di prigionieri che  si era inoltrato nella foresta per raccogliere  legna era stato attaccato da un un gruppo di elefanti in marcia e un prigioniero imprudente  che si era avvicinato  per vedere  degli elefantini era stato scaraventato dalla madre contro un albero e ucciso sul colpo.

Qualche giorno dopo il mio viaggio dal dentista a Burguret  un articolo pubblicato dal quotidiano  East African Standard  confermava in parte le storie di animali selvaggi che si trovavano intorno al Monte Kenya.”


Un teatro anche a Burguret?

non fu più che una partita di caccia fatta di inseguimenti e di 'poste'.... Nel 1941, il Kenya fu percorso in lungo e in largo da prigionieri di guerra in arrivo dal disfatto Impero oppure in movimento da un campo all'altro ... a Burguret ...i fascisti attivi erano pochi. Vi erano molti altri fascisti, ma se ne stavano quieti, riservati ... Taluni poi avevano scoperto esempi di coraggio e di amor patrio persino in certe parvenze di fuga - brevi passeggiate fuori campo, senza meta al di fuori di quella di uno svago - ... L'insieme dell'ambiente però risultava buono, serio, disciplinato anche. Alla sezione F (volgarmente gabbia) agiva la 'Goldoniana'. Il suo direttore non esitava ad affermare di far del teatro in attesa di riprendere l'attività vera, quella di soldato. Ma faceva del teatro un simpatico svago: la Cavalleria Rusticana, in un'altra gabbia, fece persino accorrere stuoli di ufficiali dell'armata britannica... ... Insomma a Burguret non si stava male.

Il colonnello T.O.FitzGerald, comandante del campo di Burguret.

Posta dei prigionieri

Riproduciamo una lettera proveniente dal campo 359, Sezione F, di Burguret.

Dopo l’8 settembre 1943

Nel Rapporto Melis si legge che a Burguret (10,000) solo una cinquantina si mantennero fedeli a Mussolini.

I Puramilk

Dalla testimonianza del colonnello Ugo Pini, responsabile del campo 359 di Burguret, si evince che I prigionieri si divisero da subito in tre gruppi: I fascisti, gli incerti e gli antifascisti. Emerge da questo racconto che in Kenya lo spirito fascista riprese stranamente vigore. Anche il generale Nasi noto’, in un rapporto, questo fenomeno. Questi fanatici venivano chiamati I Puramilk (etichetta sui barattoli del latte condensato) e si riunivano per stilare liste di altri prigionieri da punire dopo la guerra.

Nel campo di Burguret si sono svolti gli scontri piu’ violenti fra sostenitori e oppositori del nuovo corso, con feriti e morti. Nel campo di Burguret sono stati prodotti con mezzi di fortuna dei distintivi. Eccone riprodotto uno messo recentemente in vendita su eBay. Questo distintivo si riferisce al Partito Fascista Repubblicano (PFR) creato nel Nord Italia nel settembre 1943 e disciolto nell’aprile 1945.

Attivita’ e avvenimenti

Il nipote di Ravo Mattoni ricorda il nonno:

“In molti dipinti sono riportati luoghi e date precise. Per esempio, è certo che tra il ’43 e il ’45 mio nonno fu prigioniero a Pow Camp, Londiani ed Eldoret, in Kenya”.

“Stando ai dipinti e ai racconti di mia nonna, si può dire che si viveva in condizioni migliori rispetto ai lager nazisti. In molti quadri, realizzati per lo più su vecchie tavolozze con la tecnica della pittura a olio, si vedono uomini passeggiare, anche se circondati da filo spinato. Gli inglesi, comunque, davano ai prigionieri la possibilità di coltivare un orto e di dedicarsi ad altre attività.

Ma spesso accadevano anche episodi cruenti. Uno di questi è rappresentato nel quadro “Il tribunale di Burghuret”, dove si vede un uomo pronto a frustare un prigioniero sotto la supervisione degli inglesi. In un altro disegno mio nonno racconta anche il tentativo di alcuni ufficiali di costruire una radio rudimentale per cercare di ottenere informazioni sulla guerra”.

“E’ tornato in Italia nel 1947, dopo due anni di viaggio. E continuò a dedicarsi alla pittura, raccontando ciò che gli era successo soprattutto con le illustrazioni Lavazza dedicate al Duca d’Aosta, con il quale condivise parte del suo destino di prigioniero in Africa Orientale. Certo, quell’esperienza lo segnò profondamente. In un altro dipinto, per esempio, è raffigurato il sogno di un soldato devastato dall’orrore della guerra”.

Medici e ospedali

Il dott. Camillo Tenconi e’ stato inchiuso come prigioniero di guerra nel campo numero 359 di Burguret, l’inferno di Burguret come lo chiamavano, e siccome era l’unico medico presente, fatto subito Responsabile dell’Ospedale da campo

500 metri distante dal campo, vi è un convalescenziario di 400 letti, ottimo sotto tutti gli aspetti. (Dal Rapporto Melis)

Corsi per laboratoristi

Grazie alla cortesia del signor Gianni Pofi, figlio del Tenente Antonio Pofi, veniamo a conoscenza dei Corsi per tecnici di laboratorio organizzati nel Campo di Burugret nel 1944.

Un’altra ascensione al Monte Kenia

J.H.Howard ha scalato il Monte Kenya in compagnia di due Italiani.

“Il 13 febbraio 1945 ho lasciato Nanyuki accompagnato dal sig. Gabrioli, una guida italiana dal campo di prigionia di Burguret, e dal sig. Cattaneo, un artista dal campo evacuati civili di Nanyuki. Gabrioli era da Bormio nella Valtellina. Cattaneo ha eseguito molti disegni, fino a venti al giorno, durante la scalata.”

Un’altra testimonianza

La Casa d’Aste Von Morenberg di Trento ha messo recentemente in vendita un album di acquarelli dipinti nel campo di Burguret nel 1943. Riproduciamo la descrizione e due dei disegni di questo album

Album di acquarelli. Scene di vita in un campo di prigionia della Seconda Guerra Mondiale. Teatro dei prigionieri, Burguret, Kenia, 1943. Album di arte originale, contiene dodici fogli in cui l’artista descrive gli aspetti piu’ frivoli e sostenibili della vita di prigioniero, I travestimenti per spettacoli teatrali, le code per il cibo, Resi con un tocco leggero ed economica di mezzi, le scene rievocano il musical South Pacific, e possiedono la dinamica narrative di Norman Rockwell, il che puo’ sorprendere dato che l’artista era un Italiano. Burguret, dove l’album e’ stato creato, era un campo di prigionia situato in Kenia. Sebbene tutti I fogli siano firmati, e’ impossibile leggere la firma. In una nota che compare sul primo foglio un certo Italo Pugliese dedica l’album a un certo Tenente Blencome il quale “ Con la sua generosita’ ha reso la mia prigionia un po’ piu’ gradevole.”. Le parole che seguono sono illeggibili e rendono difficile identificare in modo definitive i soggetti. Tuttavia l’abilita’ e la grazia dei disegni sono innegabili, e rendono inestimabile questa descrizione contemporanea della vita in un campo di prigionia, chiunque ne fosse l’autore. La rilegatura dell’album e’ molto sporca. Le graffette che tengono insieme le pagine sono arrugginite, e due fogli sono staccati. Piccole macchie sui fogli. Album rettangolare di 10×7 pollici, 27×18 centimetri. Ottima rilegatura in tela. (#001983) $1,750 A £1,160.

Due mobilieri italiani

Nel 1942 una famiglia inglese residente Nanyuki aveva fatto costruire nel campo 359 di Burguret un mobile angoliera che ancora oggi (l’articolo di Jerry High e’ del 2017) si trova a casa loro come mobile bar. Due prigionieri italiani avevano messo su quella che era praticamente un’ azienda, SANFILIPPO & SCADUTO *Mobili*, e li firmavano – come facevano gli antichi ebanisti – apponendovi una targhetta con i loro nomi.

BURGURET OGGI

Oggi rimangono poche tracce della presenza del Campo 359 di Burguret. Dobbiamo alla cortesia di Tom Lawrence una serie di fotografie scattate recentemente. Il cartello e’ chiarissimo: si tratta della diga costruita dai prigionieri italiani, oggi, a detta dei locali, infestata da coccodrilli! Restano solo rari mattoni di un posto che e’ stato testimone di tanti scontri fra prigionieri.

Campo 360 – NDARUGU
Latitudine 0°57’0″ S
Longitudine 36°49’00” E
Altitudine 1513m slm
30 km distanza da Nairobi

Il campo 360 di Ndarugu ospitava oltre 10,000 prigionieri italiani ed e’ il solo che non sia stato completamente trasformato dallo sviluppo urbano. Situato a soli 45 km da Nairobi, a poca distanza dalla superstrada che unisce la capitale alla citta’ di Thika, sorge pero’ su di una collina che viene sfruttata come cava di pietre con moderni macchinari. In futuro il monumento rischia di venire abbattuto.

Dopo circa un’ora siamo ripartiti e, poco dopo l’uscita dalla stazione, il treno, invece di proseguire per Mombasa, ha svoltato a sinistra prendendo la linea di Thika. Qui il paesaggio era costituito quasi esclusivamente da praterie incolte con qualche villa lungo la linea. A sinistra, poco lontano da Nairobi, con l’Aeroporto con alcuni velivoli sul campo. Abbiamo passato Nahawa (KAHAWA) (5.053 p.) e Ruiria (RUIRO)(5.011 p.). Lungo la linea, altro campo di reclutamento per indigeni.

A circa 30 miglia da Nairobi, prima di Ndarugu, (NDARUGO stone Quarry?) ad alcune centinaia di metri dalla ferrovia, era il nostro nuovo campo. A lato della stessa ferrovia, correva una polverosa strada carrozzabile.

Ndarugu, campo di prigionia 360

Appena si è fermato, erano forse le nove, il convoglio è stato circondato dai cucuia. A destra il terreno scendeva per circa cento metri, fino ad un torrente gonfio di acque limacciose; lungo lo stesso torrente, sulla riva opposta, una serie di orti, al di la dei quali correva la strada che conduceva al campo, posto sopra ad una collina; all’arrivo del treno, molti prigionieri si erano assiepati lungo i reticolati.

Ci hanno fatti scendere e disporre in fila per ordine alfabetico con una gran confusione e perdita di tempo, poiché non riuscivano a pronunciare le lettere dei nostri nomi in modo corretto. A gruppi di sessanta, è iniziata la marcia verso il campo. Quando è arrivato il turno del mio gruppo, già la maggioranza era passata per la strada di fronte ed era scomparsa dietro le ba­racche, poste sulla cima del colle. Abbiamo seguito un breve tratto della ferrovia, fino al punto nel quale erano stati ammassati i nostri bagagli, siamo discesi lungo il breve tratto di strada in pendenza che porta al ponte sul torrente, superato il quale la strada si divide in due rami, dove abbiamo imboccato quello di destra che porta al campo. Il tratto da percorrere non era lungo e, salendo, volli girarmi a guardare la ferrovia ove poco prima avevamo sostato… Siamo entrati nel viale centrale del campo, che si presentava circondato da alti reticolati doppi. …

UN FIGLIO RICORDA

Il professor Antonio Belardo ci segnala la biografia di un ex prigioniero , Zito Nunzio, che ha trascorso diversi anni nel campo 360, prima di essere trasferito, sempre in prigionia, a Llanderog nel Galles. Il libro dal figlio, Zito Pierdonato, pubblicato nel 2019 si intitola :” Indimenticabile padre: ricordi di un ergastolano” e si trova citato nella Bibliografia.

IL CAMPO DI “NDARUGO” NELLE MEMORIE DI PADRE GRAZIANI

Ai primi di aprile del 1944, di mattina, il Comandante inglese mi chiamò, Padre: mi disse, si prepari perché a tarda sera, deve partire per il Campo N. 360 “Ndarugo”, a sud di Nairobi, per attendervi all’assistenza religiosa. Sotto scorta, la sera, partenza per il campo 360. Alle 11 del giorno dopo, ero a Nairobi, capitale del Kenya, alta sul mare 1670m. in posizione incantevole, abbondante di flora e di fauna. Vi sostai tre giorni, prima di raggiungere il Campo, nel quale, poi,rimasi fino al 6 giugno 1944. Al comando inglese, incontrai il Gen. Tamagnini, che mi chiese, se avevo ordini dal Comando Clandestino Italiano di Eldoret, e che si diceva di lui. Non mi sono stati dati ordini da recapitare, né ho sentito dicerie sul suo conto, dissi. Nel campo, poi, trovai il Capitano Fois, il Maggiore che scagionò, il P.Igino del Ferro, dall’accusa di disertore,l’amico Grandana di Todi, il dottor Pasquale Ferdinando di Pietracatella e tanti altri. Il campo era ripartito in 5 sezioni, ognuna con duemila uomini, l’ospedale e un piccolo Campo di segregazione, per prigionieri speciali.

Il campo N. 360 “Ndarugo”, è posto poco al di sotto dell’Equatore, su di una amena collina, circondata da meravigliose piantagioni di caffè, cotone, agave, granturco e fiori variegati, dai colori intensi. Alle sue falde scorre un fiume, sulle cui rive erano disseminate una trentina di capanne, abitate da gente di grande corporatura, con naso schiacciato, e grosse labbra sporgenti. L’aria vi è purissima. In mattinata si faceva scuola agli analfabeti, nel pomeriggio si giocava a pallone tra le squadre delle varie sezioni. Ogni sezione disponeva di un capannone, per trattenimenti teatrali e ricreativi, e di una cappella, nella quale, ogni mattina si celebrava la messa. La messa domenicale era spesso accompagnata da violini e fisarmoniche, che i prigionieri si erano costruiti con le proprie mani. Nelle solennità e nei primi venerdì del mese, molti si confessavano. Era sempre uno spettacolo di fede. La sera, dopo la recita del rosario, cantavamo alla Vergine, la canzone: “Solcammo un mare infido”, e lacrime silenziose scendevano dai loro occhi, nel ricordo dei cari lontani, ignari della loro sorte. In questo campo, grazie al cognome, ritrovai nel giugno 1942, un mio paesano, che non vedevo da 17anni: Bacci Giovanni. D’indole mite, lo presi come attendente. Era mutilato. Egli rimpatriò nel settembre 1943, con la nave malati e mutilati. Io, invece, dovetti seguire 10.000 prigionieri in Inghilterra.

Il sig. Brasolin ci ha inviato il testo del Diario di Guerra del Campo 360 di Ndarugu, SEGRETO, per il mese di agosto 1941 che ha ottenuto dagli Archivi inglesi.

Il Diario riporta, giorno per giorno, gli arrivi, le partenze e tutte le attività svolte nel campo in quel mese.

Riportiamo di seguito le annotazioni più significative. Le MAIUSCOLE si trovano nel testo originale.

Tutto questo e’ successo nei primi trenta giorni del campo, che rimarrà aperto per altri cinque anni.

1 agosto Inizia la costruzione del campo e il personale è costituito da cento INDIANI, rinforzato da cento prigionieri ITALIANI , e da una squadra di prigionieri SOMALI dal campo 355 di Thika.

6 agosto E’ arrivato il comandante del campo, maggiore C. PENNACK.

11 agosto Sono arrivati TRECENTO-VENTOTTO prigionieri ITALIANI i primi ad essere sistemati nel campo, trasferiti dal campo 355 di THIKA e dal campo 357 di MITUBIRI. Si tratta di operai specializzati che serviranno per accelerare la costruzione del campo.

12 agosto NOVANTUNO prigionieri dal campo di 357 di Mitubiri si sono rifiutati di lavorare e sono stati segragati. Alle 12 il numero era sceso a SETTANTA-CINQUE.

13 agosto Il numero dei prigionieri che si rifiutano di lavorare è sceso a cinquanta-tre.

14 agosto Il numero dei prigionieri che si rifiutano di lavorare è sceso a trenta-quattro.

14 agosto Sono state ricevute istruzioni verbali dal Comando di trasferire tutti gli uomini che si rifiutano di lavorare al campo di MAKINDU 358. Data la mancanza di trasporto ferroviario i TRENTA-QUATTRO prigionieri andranno riportati a MITUBIRI per rimanere lì in attesa.

23 agosto E’ arrivato il Cap. F. WELLINGTON come secondo in comando.

26 agosto Il prigioniero No 11999 VALENTINI ADAMO si è infortunato alla schiena per una caduta da un’impalcatura ed è stato trasferito al General Hospital No 2.

28 agosto Trenta-due prigionieri sono stati inviati in una palude a sei miglia dal campo per tagliare dei PAPIRI necessari per la costruzione di due capanne.

29 agosto A causa della grande quantità di acqua nella palude il taglio dei PAPIRI ha dovuto essere interrotto.

Il sig. Mike Harries aveva segnalato gia’ nel 2007 al dott. Aldo Manos la presenza del campo con la chiesa e il monumento costruiti dai prigionieri ed e’ grazie al persistente interessamento di quest’ultimo e di sua moglie Elena che si e’ arrivati alla protezione del monumento e della chiesa da parte del Governo del Kenia. La dichiarazione di Gazzetting e’ riprodotta di seguito.

Le guardie del campo 360

Il sig. Mike Harries ci ha cortesemente fornito questa fotografia delle guardie inglesi del campo, comandate dal Colonnello Charles Pennack . La foto risale al Natale del 1942.

Il Colonnello Pennack aveva scritto questo briglietto di ringraziamento alla mamma del sig. Harries, che aveva servito come sua segretaria , accompagnandolo con un piccolo regalo.

Prigionieri italiani hanno lavorato nella proprieta’ degli Harries , distante pochi chilometri dal campo, e hanno costruito una fontana davanti all’ingresso della loro casa.

Ol Donyo Sabuk visto dal campo 360

Il monte Ol Donyo Sabuk, dove era prigioniero il Duca d’Aosta , dista una dozzina di chilometri in linea d’aria ed e’ chiaramente visibile dal campo 360 di Ndarugu.

Il ricordo di un testimone

Bruno FINI ricorda

“Dopo i transiti nei campi di Burguret, Kanuiki [ Nanyuki] e Mayvasa [Naivasha], giungemmo alla fine ad Andarugu [Ndarugu] in Kenia, dove c’erano circa diecimila prigionieri italiani. In quel campo non era possibile vivere per mancanza di viveri. Un gavettino di caffellatte al mattino, brodo di lenticchie a mezzogiorno e brodo di ceci la sera con un piccolo panino; la domenica c’era brodo di fagioli.

Alloggiavamo in baracche di tela di iuta incatramata, sopra brandine a castello fatte con pali di bambù e rete di corda ma durante la notte non si riusciva a dormire a causa dell’invasione di pulci, pidocchi ed altri scarafaggi.”

Le razioni del campo

Il giornalista Douglas Kiereini descrive il campo 360 di Ndarugu sul Business Daily del 15 ottobre 2015. Senza citare la fonte riporta le quantita’ settimanali di cibo distribuito ai prigionieri in quel campo: 1.2 kg di carne, 0.220 kg. di prosciutto, 2.3 kg di pane, 4,53 kg di margarina, piu’ verdure, formaggio, dolci, marmellata e the. “ Niente male – e’ il suo commento – Immagino che gli incentivi per fuggire fossero piuttosto ridotti”.

Il Pilota di Caccia Aroldo Soffritti nel ricordo della figlia Ariella Soffritti Rocchi

“Dall’ottobre 1940 al 6 aprile 1941 erano incessanti le azioni di guerra, come si può vedere dal libretto di volo: incessanti partenze su allarme,combattimenti, protezione truppe, intercettazioni, mitragliamenti; fu accreditato con 8 vittorie individuali, 5 probabili ed 11 apparecchi distrutti al suolo.

La prima medaglia d’argento al V.M. sul campo gli venne conferita dal Duca d’Aosta; una seconda medaglia d’argento gli fu assegnata a fine campagna, oltre alla croce al merito di guerra.

Diversi giornali parlarono di lui, sempre molto schivo e riservato ( Corriere della Sera, Domenica del Corriere, Storia Illustrata, Corriere Padano, Il Popolo di Romagna, Il Resto del Carlino, Il Giornale dell’Emilia) e vari scrittori quali Franco Pagliano, Corrado Ricci, Christopher Shores, Angelo Emiliani, Nicola Malizia, Giovanni Massimello e, ultimo in ordine cronologico, Ludovico Slongo lo hanno ricordato nei loro libri, quale valoroso asso della Caccia Italiana.

Il 6 aprile 1941 l’ultima azione.

Dopo protezione a S.A.R.il Duca d’Aosta , ci fu un combattimento con 3 Hurricane, 5 Blenheim, 1 Junker; inseguendo un Hurricane , rimase senza benzina ed atterrò nel deserto della Dancalia , cosa che fece senza danneggiare l’aereo che poi venne recuperato. Rientrò alle linee italiane dopo alcuni giorni e notti di marcia a piedi, mangiando quello che trovava, bevendo acqua dalle pozzanghere e consegnando tutto quanto aveva addosso- tranne il libretto di volo-allevarie bande incontrate lungo il cammino. In questa circostanza, in Italia, papà venne dato per disperso, non essendo rientrato alla base. Giunto a Dessiè, fu alloggiato in un albergo con funzioni d’ospedale; il 26 aprile Dessiè cadde.

Fu fatto prigioniero e trasferito in vari campi di concentramento ( Naiwasha - Eldoret- Moshi); si ammalò di ameba, febbri, malaria e quindi ricoverato in diversi ospedali ( Naiwasha - Moshi-Nairobi-Nyeri).

Quando il 3 marzo 1942 il Duca d’Aosta morì, papà lo sognò, fiero nella Sua alta statura, con la Sua valigetta, che gli diceva: “ ciao Soffritti, io vado ma tu ritornerai a casa” e lo vide incamminarsi per poi svanire in lontananza. Papà non amava parlare del periodo di prigionia, ma ricordava questo sogno con commozione poiché lo aveva confortato e sostenuto durante i lunghi anni di prigionia.”

Padre Graziani

Padre Buonaventura Graziani, nativo di Trevi, che qui vogliamo ricordare in vecchiaia, missionario Cappuccino, gia’ Cappellano nei Campi di prigionia di Changamwe, Ndarugu e Naivasha.

Uno “spazzino” d’eccezione

Senza saperlo, I prigionieri italiani del Campo 360 sono venuti in cantatto con uno dei futuri capi dell’Insurrezione Mau Mau. Dedan Kimathi, infatti, era stato addetto come spazzino o Operatore Sanitario di III Classe sotto l’EAMLS , il Servizio Militare del Lavoro dell’Est Africa nel Campo di Prigionia di Ndarugu

Dedan Kimathi Waciuri (31 ottobre 1920 - 18 febbraio 1957), nato Kimathi wa Waciuri, era il capo militare e spirituale più anziano della rivolta dei Mau Mau. Ampiamente considerato un leader rivoluzionario, ha guidato la lotta militare armata contro il regime coloniale britannico in Kenya negli anni 1950 fino alla sua esecuzione nel 1957.

E’ solo una congettura, ma si puo’ pensare che l’aver visto 10,000 militari italiani in cattivita’ in questo Campo possa aver fatto nascere nel futuro leader Mau Mau la convinzione che nemmeno gli Inglesi fossero invincibili.

La chiesa costruita dai prigionieri

La chiesa sorge su un terreno piano di circa 1000 mq, circondato da un basso muro a secco.

L’intero muro a secco che chiudeva il lato lungo dell’area della chiesa e’ stato demolito. Questo muro era stato costruito dai prigionieri italiani ma non era compreso nella protezione accordata alla chiesa e ad una piccola area circostante.

Un eventuale sviluppo immobiliare metterebbe a rischio anche la chiesa, se non si riuscira’ a ricomprarla dalla PCEA per renderla al culto cattolico e metterla al sicuro da future speculazioni.

La chiesa a una sola navata e’ lunga 18 m. larga e alta 6 m. Costruita in pietre del posto tagliate a mano. Il tetto originale e’ stato sostituito da un tetto in lamiera ondulata. All’interno l’altare e’ stato rimosso per adeguarlo al culto presbiteriano. I banchi in legno di cipresso sono in ottime condizioni.

Sul frontone compare la scritta AD 1942.

Alla fine della guerra tutto il terreno dell’ex campo e’ tornato di prorieta’ privata e la chiesa e’ stata ceduta alla Presbiterian Church of East Africa (PCEA). Fr. Joseph Mwaniki e' il Pastor della parrocchia. Dietro alla chiesa c’e’ una piccola costruzione, la casa per il sacerdote. Recentemente la PCEA ha costruito due nuove casette a fianco della chiesa con una targa ricordo.

Non esiste una segnalazione in lingua italiana che faccia riferimento all’esistenza del campo 360.

La Chiesa del campo 360

UN DONO DEL SANTO PADRE PIO XII

Nel 1943 era Cappellano del Campo di Ndarugu Padre Buonaventura Graziani, Cappuccino. Nelle sue Memorie, scritte nel 1996, ricorda la visita dell’Arcivescovo di New York, poi Cardinale Francis Spellman che stave effettuando un viaggio in diversi paesi su richiesta di Papa Pio XII. Il prelato si e’ intrattenuto una decina di minuti con il Cappellano e ha consegnato al Comandante del Campo la somma di lire sterline 12,000 come dono del Papa per I prigionieri.

“La somma e’ servita – si legge nelle Memorie – in parte per l’acquisto di materiale didattico e sportivo (nel campo si tenevano lezioni per I soldati analfabeti e al pomeriggio si giocava al pallone), e in parte per la Cappellina e per una pala d’altare raffigurante l’Ultima Cena”.

Della pala d’altare si sono perse le tracce, ma il gesto del Santo Padre, di cui solo ora e’ riapparsa la notizia, aiutera’ la Comunuta’ italiana in Kenya a riacquistare la chiesa , riportarla al culto cattolico e aprirla alle visite dei famigliari degli ex prigionieri.

A circa 800 metri dalla chiesa sorgono isolati i resti di un monumento.

DISTRUTTO MONUMENTO DEI PRIGIONIERI ITALIANI IN KENYA! ERA MONUMENTO STORICO NAZIONALE

IL SERVIZIO DI ENZO NUCCI PER RAI 2 STORIE Qui vediamo Enzo Nucci, corrispondente della Rai in Kenya insieme all’autore, quando hanno scoperto la distruzione del monumento costruito dai prigionieri italiani nel Campo 360 di Ndarugu.

Il servizio curato da Enzo Nucci e’ andata in onda in Italia il 12 ottobre 2019 nella popolare rubrica Rai 2 Storie.

Ecco il link per vedere il servizio:

drive.google.com/file/d/1MR39sg9s8SkZFzXmQ5t-cKWygEV5JYFw/view?usp=drivesdk

All’origine era sormontato da una statua [Madonna? Vittoria?] della quale rimane solo una base non leggibile. L’altezza complessiva, compreso il basamento, e’ di circa 5 metri. Sul fianco e’ stato praticato uno scavo, probabilmente alla ricerca di oggetti sepolti.

Il monumento presenta due interessanti bassorilievi in cemento di 80 cm per 100 cm. ancora in buono stato.

Il primo bassorilievo

Nel primo bassorilievo si vede una strada a tornanti che partendo da un gruppo di tucul raggiunge un bosco,

Si tratta della famosa strada del Passo Uolchefit, costruita dal Genio Militare tra gli anni 1936 e 1937, dove ha avuto luogo la penultima resistenza italiana prima di quella definitiva di Gondar. Nella difesa del Passo Uolchefit sono morti il Sergente Maggiore Sante Angelo Bastiani e il Tenente Enrico Calenda, entrambi Medaglia d’Oro al valor militare. Un’altra medaglia d’oro e’ stata concessa al Muntaz (Caporale) Unatu Endisciau. In seguito alla capitolazione del ridotto avanzato di Tebre Tabor, ha raggiunto le linee italiane percorrendo cento chilometri in territorio occupato, per portare in salvo il gagliardetto del battaglione ed e’ morto attraversando un campo minato . Nel comune di Fiumicino c’e’una Via Uolchefit.

Lorenzo De Felice faceva parte con i battaglioni delle Camicie Nere 141° e 164° del ridotto che per 165 giorni si oppose a Uolchefit, a tremila metri di altitudine, a un numero infinitamente superiore di truppe inglesi, indiane e sudanesi.. Nel 1961 ha accettato la Croce al Merito per la campagna in Abissinia e nel gennaio 2018 ha compiuto cento anni ! Auguri e grazie per la sua lezione di coraggio e coerenza.

Lungo la strada si notano un carro armato FIAT e un autocarro SPA “Dovunque” (la SPA, Societa’ Piemontese di Automobili, acquistata dalla FIAT nel 1926). In volo si riconoscono un caccia FIAT Falco CR 42 e due bimotori Caproni Ca 310 da bombardamento.

Il secondo bassorilievo

Sul lato opposto del Monumento il pannello raffigura un ufficiale che sventola una bandiera, e due postazioni ricavate nella roccia in mezzo alla tipica vegetazione etiopica. Nella prima postazione tre militari e un ascaro dietro ad un cannone da 75/27 mod.11-1911, nella seconda postazione due soldati dietro una mitragliatrice Breda mod.37.

Il monumento , pur essendo protetto, rischia di venire distrutto dall’avanzare della cava di pietra, e meriterebbe di essere spostato in luogo piu’ sicuro.

Altri resti di costruzione

Fino a qualche tempo fa si potevano vedere i resti di un arco in pietra, ora scomparso per riutilizzare le pietre squadrate a mano.

UN AGGIORNAMENTO SUL MONUMENTO DI NDARUGU

Il tempestivo intervento dell’ambasciatore Alberto Pieri presso le autorita’ del Kenya e presso quelle italiane ha permesso di salvare quanto rimane del monumento spostandolo da Ndarugu a Nyeri, accanto alla Chiesa-Ossario. Il Comites si e’ assunto la responsabilita’ finanziaria, mentre Paolo Torchio, Segretario, e Magali’ Manconi, hanno curato personalmente l’organizzazione e la supervisione del trasferimento.

Grazie ai loro sforzi il 10 novembre 2019, in occasione dell’annuale Messa in suffragio dei militari italiani morti in prigionia in Kenya, I connazionali presenti hanno potuto constatare l’avvenuto spostamento.

Rimane ancora un lavoro importante di messa in sicurezza e la posa di un cartello illustrativo.

Ha dato notizia dell’Operazione Monumento Freddy Del Curatolo nel sito Malindikenya.net: poi ripreso da La Gazzetta del Sudafrica : link

http://www.lagazzettadelsudafrica.net/index.php/current-news/7081-in-salvo-un-frammento-di-storia-italiana-in-kenya?fbclid=IwAR3LZw4TiMAk11BPxgMH37colfoAH8_3t0qdzbGeZ5sbMAai4EYAMBNzD

Ecco il servizio fotografico di Paolo Torchio che illustra la varie fasi della complessa operazione con la quale un masso del peso di dodici tonnellate e’ stato trasportato dai 1560 m. slm di Ndarugu ai 1750 m. slm. di Nyeri.

Un grazie sentito a Paolo e Magali’.

Il signor Marcel Schweri , che ha sposato una nipote del proprietario del terreno su cui sorgeva il Campo 360 di Ndarugu, ci invia da Zurigo questa splendida foto che ha scattato nel dicembre 2013, con un arcobaleno che abbraccia il monumento. Un segnale di speranza?

E’ bello ricordarlo com’era.

Questo arco e' stato distrutto per recuperare le pietro lavorate

Delle circa duecento baracche in legno che ospitavano i 10,000 prigionieri non rimangono che alcune basi in pietra

Un ospedale del Campo 360

Nel libro di Gerardo Sinatore “Ricordi d’Africa – Antonio Sinatore “una vita per gli infermi” di apprende l’esistenza di un Ospedale nel Campo di prigionia 360 di Ndarugu

“Lettera di Elogio del Capo Reparto Chirurgico dr. Decio Benincasa col visto del Maggiore Medico Amedeo Donsanto: Ospedale del Campo di Prigionia di Guerra 360 di Ndarugu; ecco alcune righe: il caporale maggiore Antonio Sinatore con funzioni di capo-sala ha dimostrato ottima capacità tecnica, solarità, amore e precisione nel lavoro, assoluto senso nei suoi lavori di disciplina verso i superiori e di comprensione delle necessità dei dipendenti e soprattutto dei pazienti alle sue cure affidati…”

Un teatro nel Campo 360

Solo recentemente siamo venuti a conoscenza del volume di Valerio Liberati intitolato “Fratelli d’Italia dov’e’ la vittoria?” pubblicato nel 2017 a cura del Consiglio Regionale delle Marche. Per la prima volta troviamo descritta la costruzione di un teatro nel campo 360 di Ndarugu e addirittura, la fotografia degli interpreti, in costume, di una Tosca.

“Trasferiti in camion a Berbera ripartono in nave verso Mombasa in Kenia dove restano per poco, in ferrovia raggiungono Nairobi e dopo 30 miglia approdano al loro campo di prigionia definitive a Ndarugu contrassegnato come Pow Camp 360 Kenia. L’organizzazione e’ buona: ci sono baracche dove vengono ospitate 30 persone, le cusine funzionano, c’e’ uno spaccio dove vengono venduti gli alimenti acquistabili con la paga giornaliera data ai prigionieri e la polenta li salva dalla fame.

Per sconfiggere la noia costruiscono, tra le altre cose, un teatro con panche e palcoscenico in cemento illuminato con lampade a petrolio Petromax dove si cimentano in innumerevoli rappresentazioni ; gli inglesi partecipano come spettatori e vedono di buon occhio tali iniziative che occupano pacificamente i prigionieri. Si allestiscono commedie con trame ricordate a memoria e opere liriche naturalmente recitate, con libretti originali recuperati commerciando con l’esterno; I costumi sono cuciti dal sapiente ago di Vittorio.”

Ecco degli esempi di lampade a petrolio Petromax.

1943 Ndarugu Kenia: la Tosca, Vittorio al centro in prima fila

UN FIGLIO RICORDA

Il professor Antonio Belardo ci segnala la biografia di un ex prigioniero , Zito Nunzio, che ha trascorso diversi anni nel campo 360, prima di essere trasferito, sempre in prigionia, a Llanderog nel Galles. Il libro di Zito Pierdonato, pubblicato nel 2019 si intitola :” Indimenticabile padre: ricordi di un ergastolano” e si trova citato nella Bibliografia.

UN OGGETTO IN PERFETTO STILE “ARTS AND CRAFTS” O ART NOUVEAU

Ringraziamo il sig. Cesare Pagura che ci ha inviato le foto di questa scatola porta sigarette, o porta oggetti, costruita nel Campo 360 di Ndarugu, in legno ad intarsio, da suo padre, Giovanni Pagura le cui iniziali GP figurano sul coperchio.

Campo 361 – NAMANGA
Latitudine 2° 51’ 0” S
Longitudine 36° 47’ 0” E
Altitudine 1582 m. slm
77 km distanza da Nairobi

C’erano prigionieri italiani addetti alla costruzione della strada Nairobi-Kajiado- Namanga –Tanganyika.

Al confine hanno costruito nel 1943 un ponte che ancora si vede.

Scritta gigante sulla roccia

I prigionieri inviati a riparare strade o costruire ponti vivevano in accampamenti volanti .

Durante uno di questi spostamenti un prigioniero ha voluto lasciare un segno del suo passaggio incidendo il suo nome in caratteri cubitali su una parete di roccia. E’ stata la rivista Old Kenya a farla conoscere pubblicandone la foto e chiedendo ai lettori di riconoscere il posto. La localita’ si trova a pochi chilometri dalla frontiera del Kenya, in Tanzania.

Sulla parete si legge:
BENVENUTO
ELIA
NATO 7.2.1912
PARATICO. BRESCIA
E sotto con lettere enormi
W L’ITALIA
W RE
E la data
26.3.43

SVELATO IL MISTERO DI LONGIDO

La signora Annamaria Alfieri, con intuito e persistenza, ha finalmente risolto il mistero della grande scritta sulla parete di roccia in prossimita’ di Longido in Tanzania.

Ha interessato il giornalista Andrea Tortelli di Brescia, che si e’ recato nel Comune di Paratico sul Lago d’Iseo dove ha rintracciato le figlie dell’autore della scritta, Elia Benvenuti. Le figlie non sapevano nulla della scritta lasciata dal padre in Africa.

La storia e’ stata pubblicata dalla rivista Old Kenya, con una una foto del militare motociclista. Rientrato in Italia nel 1946, sposatosi, ha volute tornare a lavorare nelle cave di pietra per cui Paratico e’ nota. E’ deceduto prematuramente nel 1964.

La notizia pubblicata in Kenya nel 2018 ci era sfuggita, e ci e’ stata segnalata, solo ora dalla Svezia, dal signor Lars Asker, che ringraziamo.

IL PONTE DI NAMANGA

Ringraziamo il sig. Ivo Galfre’ che ci ha procurato queste fotografie del ponte sulla vecchia strada per la Tanzania, costruito dai prigionieri italiani del Campo 361 A di Kajiado nel 1943. Dopo 75 anni anche questa solida costruzione ha bisogno di un intervento, che il sig. Galfre’ si e’ offerto di fare a proprie spese. E’ in attesa dell’OK delle autorita’.

Il sig. A. Chemello ci invia queste interessanti notizie relative al campo 361 di Kajiado.

Athi River è un villaggio presso cui era allestito un grosso campo dove erano concentrati i prigionieri italiani destinati alla costruzione della “strada degli italiani” (così ancora oggi chiamata dai vecchi kenioti) che collegava Nairobi con la frontiera del Tanganyka. Mio zio Antonio Parise, già cavalleggero presso i Cavalieri di Neghelli ad Addis Abeba nel 1939-1941, vi era giunto in prigionia. Dato che era un valente muratore, aveva seguito l’evoluzione della strada sino a Namanga, dove aveva contribuito alla costruzione del ponte e degli altri innumerevoli manufatti disseminati lungo la strada. Si ricordava bene del ponte di Namanga perchè in quei giorni aveva perso un dente del giudizio, lasciato quindi sul posto (ho lasciato il giudizio a Namanga..). Per la costruzione della lunga strada, l’amministrazione britannica aveva messo a disposizione dei valenti caterpillar per i lavori più pesanti, cosa per lui assolutamente nuova perchè precedentemente aveva partecipato alla bonifica dell’agro pontino e alla costruzione delle strade dell’AOI potendo utilizzare solo il badile e la carriola. Il trattamento non era male, ma il vitto era scarso, per cui di notte uscivano clandestinamente dal campo per mettere delle trappole per la selvaggina e tornavano sempre prima dell’alba con un buon bottino, costituito spesso da intere zebre. Per questo motivo tra il 1942 ed il 1945 aveva potuto mangiare carne fresca quasi tutti i giorni; sicuramente come in nessun altro periodo precedente della sua vita. Il lavoro nel cantiere veniva sospeso la domenica, quindi i prigionieri più affidabili potevano raggiungere liberamente Nairobi ed andare dal barbiere o a visitare i postribili locali. In modo particolare, lui che era di Cavalleria, aveva un trattamento di riguardo e spesso gli veniva concesso di montare un quadrupede negli spostamenti.

Oltre che per i manufatti, questa “strada degli italiani ” è ancor oggi facile da riconoscere, perchè è costruita su una spessa massicciata di grosse pietre. Queste venivano posizionate dai prigionieri a mano, collocate opportunamente in modo da riempire tutti gli interstizi. Se lei percorre la strada da Nairobi verso Kitengela, se ne potrà facilmente rendere conto. Le strade coloniali inglesi venivano invece realizzate alla spicciolata, spostando il terreno con i buldoozer e compattandolo con i rulli compressori. Non è che i britannici mancassero di ingegno, ma era evidente che non intendevano fare alcun investimento infrastrutturale nei propri possedimenti coloniali, se non quelli indispensabili per esportare le materie prime verso la madrepatria (ferrovie). Durante il periodo di prigionia, mio zio non ha mai accusato gravose difficoltà nemmeno con le guardie britanniche. Aveva imparato il ki-swahili e si muoveva con disinvoltura nel piccolo commercio clandestino. Non ha mai legato con nessun britannico e si è astenuto da ogni credo politico, pur essendo lui di animo socialista. Durante quegli anni non ha mai sofferto nemmeno di un attacco di malaria… In parole povere, era un colono perfetto!

CAMPO 362 – THIKA
Latitudine 1°2’219”S
Longitudine 37°5’0” E
Altitudine 1506 m. slm
45 km distanza da Nairobi

Gli Archivi di Stato Britannici contengono un riferimento ad un “POW CAMP 362”

L’ubicazione esatta del campo non ci e’ nota.

Non abbiamo fotografie relative al campo 362.

Una lettera di un prigioniero proveniva dal “ 362 THIKA CAMP, SEZ. C”

La prima fornace di mattoni in Kenia costruita dai prigionieri italiani si trova ora all’interno della prigione di Thika. La fornace e’ stata protetta dal Governo del Kenia come parte della storia del paese, unitamente alla chiesa e al monumento del campo 360 di Ndarugu.

La Gazette Notice No. 11252 da’ l’esatta posizione della fornace: Latitudine 0102.422 Longitude S 037 04.370 E.

THIKA E GLI ASCARI PRIGIONIERI

In una sezione dei campi di Thika e Nairobi erano rinchiusi anche gli ascari eritrei e somali che non avevano voluto passare alle truppe coloniali britanniche. Credo che questo esempio di cameratismo tra i sudditi coloniali e gli italiani sia un caso unico nel suo genere!

Non conosciamo il numero degli ascari prigionieri, solo quello dei morti, che sono 70.

RITROVATA UNA SCIABOLA DI CAVALLERIA

Tom Lawrence ci ha inviato queste foto di una sciabola di cavalleria che suo padre, allora sergente dell’esercito britannico, aveva riportato come preda di guerra dopo la resa di Gondar . Il Museo dell’Arma di Cavalleria a Pinerolo al quale avevamo chiesto qualche chiarimento, ci ha inviato a giro di posta la mail che riproduciamo. Alla Direzione i nostri piu’ vivi ringraziamenti per la cortese ed esauriente informazione.

Gentile Dott. Manos, la sciabola in questione appartiene al Gruppo Squadroni Cavalieri dell'Amhara (in allegato una cartolina coloniale del Gruppo).

Su internet potrà trovare molte notizie.

Cordialità

La Direzione

Questa sciabola era dunque appartenuta ad uno dei 1700 ascari di etnia etiope Amhara, nonche’ di elementi eritrei e yemeniti, del Gruppo Squadroni Nazionali d’Africa costituito tra il luglio 1938 e il febbraio 1940 per iniziativa del Duca d’Aosta. Erano al comando del leggendario tenente Alfredo Guillet noto come il Comandante Diavolo o il Lawrence of Arabia italiano.

… e la morte a paro a paro …

Il motto inciso sulla lama (con la morte ce la vediamo da pari a pari) e’ un verso della Canzone del Quarnaro scritta da Gabriele D’Annunzio nel febbraio 1918 per commemorare l’impresa di tre MAS della Marina Militare nota come “La beffa di Buccari”.

Campo 363 - HARGEISA nel Somaliland britannico
Latitudine 9.5629 N
Longitudine 44.0770 E
Altitudine 1334 m slm
A142 km dal porto di Berbera

Sappiamo che un campo di prigionia capace di ospitare 5000 prigionieri era stato costruito a Hargeisa.

Non conosciamo l’ubicazione esatta del Campo.

Campo 364 – MOSHI (Tanganyika)
Latitudine 3.3430° S
Longitudine 37.3507° E
Altitudine 950 m slm
330 km distanza da Nairobi

La posizione esatta del Campo non ci e’ nota

Fino al 1918 il Tanganyika era stata una colonia tedesca e Moshi, in tedesco scritto Moschi, era stata fondata nel secolo scorso come una base militare.

Ricordiamo che il Tanganyika dopo aver conquistato l’indipendenza nel 1961 si e’ unito con Zanzibar nel 1964 prendendo il nome di Tanzania.

Grazie ad una segnalazione della signora Soffritti, che ringraziamo sentitamente, abbiamo potuto individuare il Campo 364, che si trovava a Moshi in Tanganyika, altro Territorio Britannico, ad una quarantina di chilometri da Taveta al confine del Kenya.

Dalle lettere che riceveva, sua moglie , Iole Rocchi, aveva tenuto un conto preciso dei vari spostamenti che il marito aveva subito in prigionia, che ha poi trascritto in questo foglio riepilogativo, ultimo di tre, che riproduciamo

 

 

Ad ulteriore conferma, si veda anche questa lettera che gli era stata inviata all’indirizzo del Campo 364 di Moshi in Tanganyka.

 

a Moshi c’era una squadra di calcio, anzi “del calcio”.

Dal volume di Stefano Baldi “Gli Italiani in Tanzania Ieri e oggi” apprendiamo che un Italiano era deceduto in un incidente ferroviario in Tanganyka, mentre un altro era morto nel Campo di Moshi. Di entrambi si ignora il nome.

A proposito del monte Kilimanjaro, con 5895 m. la cima piu’ alta dell’Africa, si narra che fosse stata “regalata “ dalla regina Vittoria al suo nipote, l’Imperatore Guglielmo II di Germania. Ora questa storia viene considerata non vera in internet. Ma basta guardare la linea di confine fra Kenya inglese e Tanganyika allora Tedesco, tracciata col righello a Londra , per rendersi conto che in prossimita’ della montagna, la linea di frontiera svolta bruscamente per lasciare il Kilimanjaro in territorio tedesco.

Si noti che il numero 364 e’ stato assegnato tanto al Campo di Moshi che a quello di Changamwe presso Mombasa. Per entrambi abbiamo trovato lettere con questo indirizzo.

Campo 364 – CHANGAMWE / MOMBASA
Latitudine 4°1′34″S
Longitudine 39°37′50″E
Altitudine : Sul Livello Del Mare
500 Km. Distanza da Nairobi

’E’ UN SOLO RIFERIMENTO A QUESTO CAMPO, NELLA ZONA SU CUI SORGE L’AEROPORTO INTERNAZIONALE MOI DI MOMBASA, E NEL QUALE SI TROVAVANO PRIGIONIERI ADDETTI AL LAVORO NEL PORTO DI MOMBASA A KILINDINI.

Nel Rapporto Melis del 1944 si legge: “A Mombasa vi sono due campi, entrambi posti nell’entroterra, a poca distanza l’uno dall’altro, in un’area ricoperta di cocchi e di manghi, non eccessivamente calda, ma infestata dalla malaria. Uno dei campi serve di transito per tutti coloro che si recano all’imbarco nel porto di Mombasa; l’altro è un campo di soli lavoratori, di cui alcune centinaia sono occupate nell’arsenale di Mombasa.”

Nelle sue memorie, pubblicate postume dal figlio, Giuseppe Scannella ricorda cosi’ il suo arrivo nel campo di smistamento di Mombasa. “ Mi separo quindi dagli altri e faccio un giro di perlustrazione per il campo, dove numerose piante di cocco, alte non meno di 20 metri, rappresentano certamente un bel colpo d’occhio ma anche un serio pericolo per chi dovesse sostarvi alla base. Una conferma di questo pericolo mi viene data da uno dei tanti prigionieri che mi racconta della morte istantanea di un Brigadiere dei Carabinieri causata dalla caduta sul suo capo di una noce di cocco”.

PADRE GRAZIANI A MOMBASA E CHANGAMWE

Dalle Memorie di Padre Buonaventura Graziani:

La sera, però, mi tornò la febbre. L’infermiere di turno, riferì, quanto avevo fatto in quel giorno; per cui, dopo un liscio e busso coi fiocchi, tre giorni dopo venni trasferito, in ambulanza, al campo transito di Sciangauve, distante un sette km. da Mombasa. Lì rimasi, per oltre un mese, in un baraccone che condividevo con centoventi prigionieri. Potete immaginare il putiferio che vi si verificava: russare notturno, sogni spaventosi, flatulenze rumorose e maleodoranti, capannelli di giocatori a carte a completare il quadro provvedevano le scarpe che volavano nell’oscurità, contro i russatori. Eravamo ridotti a numeri. Il campo si componeva di tre sezioni più l’infermeria. In uno dei capannoni non occupati, su di un fusto di benzina vuoto, che fungeva da altare, il cappellano del campo, P. Girolamo Boratto, celebrava la messa. La celebrava anche nella sezione dei generali e colonnelli, e qui, mentre spiegava il Vangelo, trovava sempre il modo di rimproverali, di non aver fatto il loro dovere di ufficiali italiani, favorendo l’avanzata del nemico. Finì così per inimicarseli e lo fecero trasferire al campo 360 di Ndarugo

Il campo transito Schiangauv-Mombasa, era situato a 7 km. dal porto. Era ripartito in quattro sezioni, separate tra loro, da due fila di ferro spinato alto 12m. In esso sostavano i prigionieri diretti al nord. La zona fertilissima, era ricca di vegetazione, di alberi di banane, di noci di cocco, di mango nonché di zanzare. La mia occupazione, dopo la Messa, era quella di recuperare i medicinali che gli inglesi toglievano, all’arrivo, ai prigionieri e che risultavano utili ai medici. Spesso, scortato, mi facevo accompagnare all’ospedale di Mombasa, per visitare gli ammalati, e amministrare i sacramenti ai moribondi. In quel periodo, ne morirono nove. Di essi, otto ebbero sepoltura nel cimitero cittadino; il nono, invece, non ne seppi mai il motivo, fu sepolto sul ciglio della strada, ove ancora “lo bagna la pioggia e muove il vento.”

Campo 365 – LONDIANI
Latitudine 0°9’48 ” S
Longitudine 35° 35’35” E
Altitudine 2326 m. slm
220 km distanza da Nairobi

LA STAZIONE DI LONDIANI

Il vecchio cartello della stazione ferroviaria di Londiani come lo hanno visto I prigionieri italiani quando venivano trasferiti tra I diversi campi di prigionia in Kenya.

L’ubicazione esatta del campo 365 non ci e’ nota. Abbiamo pero’ uno schizzo dettagliato del campo 365/8.

365 Londiani. Vi sono mense, sale da studio, una specie di università con corsi di varie discipline, quattro Chiese, campi e sale per gli sports, quattro teatri, ecc. Gli ufficiali possono uscire a passeggio per alcune miglia lungo una strada delle belle campagne circostanti. L’altimetria è eccessiva: m. 2100 s.l.m.

365 di Londiani, che in una parte ha sempre accolto i puniti di tutte le categorie

Si ricorda che un incendio avvenuto nel campo 365 di Londiani aveva distrutto molte baracche obbligando le autorita’ a trasferire molti prigionieri in altri campi.

(Dal Rapporto Melis, 1944)

Gli Archivi della Croce Rossa Internazionale di Ginevra sono in possesso di numerose fotografie del campo 365 di Londiani che ci hanno permesso di riprodurre

Dopo l’8 settembre 1943

Il comandante del campo di Londiani 365/8, il colonnello Tucker, alla data del 16 dicembre 1944 fece affiggere all’albo del campo un ordine che faceva obbligo ai prigionieri di non salutare piu’ romanamente , ma portando la mano alla visiera, secondo l’uso del R. Esercito, di togliere i fascetti dal bavero delle giubbe e di sostituirli con le stellette, di togliere dai posti-letto e da tutti i locali le effigie del Duce.

Si minacciava che – in caso di disubbidienza – l’intero campo sarebbe stato punito con la soppressione di quasiasi miglioramento di vitto e di sigarette fino alla chiusura dello spaccio del campo. Il vitto sarebbe consistito nella sola razione del pane alternata, di tre giorni in tre giorni, con una razione di viveri ridotta

Per due mesi e mezzo l’ordine fu disubbidito e la punizione regolarmente applicata fino alla minaccia di piu’ gravi e letali inasprimenti della punizione. Cio’ nondimento non fu una capitolazione :il comando inglese consenti’ che ogni prigioniero conservasse lo status che aveva al momento della cattura e gli appartenenti alla Milizia poterono conservare i fascetti.

A Londiani (3.500, in gran parte ufficiali), quattro quinti per il re, un quinto per Mussolini. (Dal Rapporto Melis, 1944)

IL CAPPELLANO PADRE VAHAN HOVHANESSIAN

I prigionieri ricordavano con affetto e gratitudine il Padre Armeno Vahan Hovhanessian che si era offerto di fare il cappellano del campo 365/8 degli ufficiali Non Cooperatori. Rientrato in Italia dopo la prigionia e’ morto ed e’ sepolto sull’Isola degli Armeni a Venezia dove gli ex-prigionieri hanno voluto offrirgli una tomba di granito nero e marmo.

Oltre che sacerdote padre Vahan era anche un poeta le cui poesie erano stare trascritte a macchina nel Campo di Londiani dal tenente Ugo De Francesco, papa’ di Maurizio, che le ha ritrovate fra le sue carte.Sono ventotto poesie piene di fede, amore per la natura e per I suoi simili che si possono leggere cliccando sul link

Come aveva scritto il tenente De Francesco “il padre Vahan ci ha fatto conservare la fede in Dio”.

ATTIVITA’ NEL CAMPO

Nel Campo 365/8 Non Cooperatori di Londiani diversi prigionieri avevano organizzato attivita’ artigianali: il Ten.veterinario Salerni costruiva lampade, il S.Ten. Signorelli riparava orologi, il Cap. Lanticini faceva lattonerie e saldature varie, e altre attivita’ erano opera del S.Ten. La Bruna, di Gelmini, di Segalla.

Inoltre il Ten. Sajani era riuscito a costruire una radio per sentire i Bollettini di Guerra.”

(Dalla Memoria del Ten. Panciera )

La Campagna d’Italia

Attraverso le loro radio clandestine, oltre che dei notiziari trasmessi con gli altoparlanti dei campi, I prigionieri hanno potuto seguire le vicende della Campagna d’Italia, dallo sbarco in Sicilia iniziato il 9 luglio 1943 fino alla liberazione di Milano il 25 aprile 1945.

Quasi due anni sono stati necessari agli Alleati per risalire dalla Sicilia a Milano durante I quali si sono affrontate, da un lato, le truppe tedesche e quelle della RSI e, dall’altro, gli Alleati che comprendevano truppe americane bianche, americane di colore, nativi americani, la “Buffalo Soldier Division” poiche’ l’integrazione dei reparti sarebbe avvenuta solo nella successiva Guerra di Korea (1950-1953), inglesi, canadesi, australiane, neo-zelandesi, indiane, nepalesi (lungo la superstrada Rimini-San Marino si trova il cimitero di guerra con 790 Gurkha Riflemen), polacche, brasiliane, greche, e inoltre algerine, marocchine e senegalesi riunite nel Corps Expéditionnaire Français, resesi tristemente note per le “marocchinate” di cui sono state vittime 60.000 donne e uomini italiani.

Condizioni mediche a Londiani

Il British Medical Journal in data 14 luglio 1945 riporta una ricerca del dott.Garham sulla malaria negli altopiani in Kenya dove si legge tra l’altro:

“Nel novembre del 1943, grazie alla cortesia delle autorita’ militari, mi e’ stato concesso di esaminare 300 prigionieri di guerra italiani che avevano trascorso almeno sei mesi nel campo di Londiani e nessuno di essi aveva parassiti della malaria nel sangue.”

LA CHIESA DEL CAMPO 365/8 DI LONDIANI

Nella Memoria del Ten . Panciera si legge: “ A Londiani l’ing. Togni e un professore universitario, anch’egli prigioniero, pensarono di promuovere un concorso di idee aperto a tutti per il progetto di una chiesa da costruirsi in una zone libera del campo per onorare Padre Vahan. Un gran numero di prigionieri artisti, pittori, student di architettura e dilettanti si improvvisarono progettisti e si misero al lavoro. Dopo quindici giorni fu inaugurata la mostra e tutti I lavori vennero esposti nel corridoio esterno che una volta divideva il campo A dal campo B , ma che gli Inglesi avevano recentement aperto. Tutti perdettero di vista la realta’ che era questa: per realizzare la chiesa avevamo a disposizione solo legni, canne e stuoie.

Percio’ si affido’ all’ ing. Togni la progettazione e all’ing. Innocenti Clerici la Direzione dei lavori. L’ing. Togni progetto’ una chiesa a tre navate con un corpo centrale e due laterali piu’ bassi, con un campanile posto anteriormenter in corrispondenza dell’ingresso.

La chesa fu pronta in tre mesi. Sopra l’altare fu posta un statua della Madonna, scolpita da Bepi Russo, un artista molto valido e sensibile del nostro tempo. All’inaugurazione della chiesa volle partecipare anche il Comandante iglese del Campo.

Una delle foto della Croce Rossa Internazionale – quella in basso a sinistra – mostra questa chiesetta ma la indica come Barrack.

In questa chiesa avvenna dopo poco tempo l’improvvisa conversion del Sottotenente Calvanese, oggi Padre Tommaso Maria di Gesu’ dell’Ordine dei Frati minori rinnovati , ordine da lui fondato qualche anno dopo aver preso I voti.”

LE PRATICHE RELIGIOSE

I prigionieri hanno cosi’ potuto costruire numerose chiesette, o in pietra come nel campo 360 di Ndarugu, o piu’ spesso in legno come nel campo 365/8 di Londiani, oggi scomparse. La pratica religiosa e’ stata di grande conforto per molti durante I lunghi anni di prigionia in Kenya

La signora Sandra Lotti ci ha contattato con riferimento a suo padre Arrigo Lotti che era stato prigioniero in Kenya e del quale ha conservato una medagli della Madonnina del Tembien. La ringraziamo per averci fatto avere una foto della medaglia autorizzandoci a riprodurla su questo sito

Con l’occasione vogliamo ricordare che l’immagine originale della Madonnina era stata messa in una cappella eretta a ricordo della Battaglia del Tembien che ha avuto luogo in Etiopia nel gennaio-febbraio 1936, con la vittoria italiana. Purtroppo, la cappella era stata successivamente vandalizzata e recentemente addirittura distrutta dai lavori di ampliamento della strada.

Qui vogliamo ricordarla com’era.

Posta dei prigionieri

Ecco una cartolina della Croce Rossa indirizzata al Prof. Piero Pattarin, Capitano Medico nel campo 365.

UNA GALLERIA SCAVATA DAI PRIGIONIERI

Ringraziamo sentitamente Arnaldo Panciera che ci ha inviato un documento di estremo interesse e che riproduciamo per esteso negli Allegati. Si tratta del progetto e dei piani ampiamente illustrati che suo padre, il Ten. Ing. Ferdinando Panciera, prigioniero nel campo di Londiani 265/8 Non Cooperatori, ha ideato per una galleria lunga 49.50 metri, che e’ stata scavata a 5 metri di profondita’, durante piu’ di un anno tra il 1944 e il 1945. La galleria e’ servita per la fuga di un prigioniero da Pola, chiamato “il Mulo”, e di altri cinque prigionieri vestiti con divise inglesi.

Per giustificare la terra rimossa avevano proposto di costruire un campo da tennis, subito approvato dagli Inglesi. Hanno dovuto costruire una pompa per smaltire l’acqua che si accumulava nello scavo e un ventilatore per inviare aria nella lunga galleria. Un capolavoro che meritava di essere conosciuto.

Al momento della scoperta, nessuno e’ stato punito, e non e’stata aperta un’indagine perche’ le guardie inglesi hanno voluto evitare di essere punite a loro volta.

Campo 366 – JINJA (Uganda)
Latitudine 0° 26’ 52” N
Longitudine 33° 12’ 9” E
Altitudine 1143 m. slm
445 km distanza da Nairobi

L’ubicazione esatta del campo non ci e’ nota

In base a un rapporto del Governatore del Protettorato dell’Uganda del luglio 1942, erano presenti in territorio ugandese 4100 prigionieri di guerra “italiani bianchi” (sic!), alloggiati nel campo di Jinja (sul lago Vittoria, a est di Kampala). [ Government House, Uganda, 23rd July 1942, The National Archives, London, file CO 980/36]

Alcune centinaia di prigionieri di guerra detenuti al campo di Jinja, invece, per un breve periodo parteciparono ai lavori di bonifica della sponda nord del lago Vittoria, per la lotta alla malaria e per essere utilizzata come terreno agricolo;

[ From the Governor of the Uganda to the Secretary of State for the Colonies – 13th January 1944, The National Archives, London, file CO 980/37].

UN’ISPEZIONE DEL COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA DI GINEVRA

Paragonato agli altri Campi in Kenya, abbiamo poche notizie dirette sul Campo 366 di Jinja. Per questo motivo e’ di particolare interesse leggere il rapporto (veramente l’ultima bozza con le correzioni a mano) redatto da due ispettori inviati del CICR di Ginevra a Jinja nel febbraio del 1943 per rendersi conto delle condizioni in cui vivevano I prigionieri di guerra italiani . Ora negli ALLEGATI .

UN GENERALE A JINJA

Un prigioniero scriveva: Verso la fine del 1943, con la notizia dell’armistizio e poi ancora la dichiarazione di guerra alla Germania, le nostre certezze lasciarono il posto alla realtà degli eventi. Gli Inglesi cominciarono subito l’opera di persuasione al fine di ottenere la totale cooperazione, facendo sottoscrivere la richiesta, con la formula “ovunque e comunque”. […] La visita del generale –non vorrei sbagliare il nome, ma mi sembra proprio Nasi– ci incuriosì molto, bisognevoli come eravamo del conforto da parte di un nostro ufficiale superiore. Ci riportarono tutti nel grande piazzale fuori del campo e, dopo un breve preambolo si restò sbalorditi, sconcertati, quando contrariamente alle affermazioni che ci erano state fatte pochi mesi prima, disse che bisognava puntare “sul cavallo vincente”, e cooperare con gli Inglesi. La reazione fu immediata, i fischi gli impedirono di continuare a parlare e, sotto scorta, insieme ai due ufficiali maltesi furono costretti a lasciare precipitosamente il campo. Concluse in questo modo a Jinjia il suo giro propagandistico, dopo aver visitato tutti i campi del Kenia.

UNA FABBRICA PER LA LAVORAZIONE DEL LINO

In Uganda I prigionieri italiani hanno costruito una fabbrica per la lavorazione del lino, usando l’energia elettrica prodotta dalle cascate di Omukinyata vicino al villaggio di Kisiizi, a 400 km da Jinja.

UN CIPPO RICORDO

Il sig. Chemello, nell’articolo che ricordiamo nella Bibliografia, parla di un cippo ricordo nell’area dove sorgeva il Campo 366 di Jinja.

UNA BELLISSIMA INCISIONE RICORDO

Foto di un un fondello di gavetta italiana incise nel POW Camp di Jinja in Uganda nell’ottobre del 1941. L’incisione era stata fatta sul fondello della gavetta per passare inosservata alle frequenti perquisizioni , durante le quali ogni oggetto interessante veniva regolarmente rubato dai secondini. Dimensioni mm.160×100.

Collezione Angelo Chemello

Lettera spedita dal campo 366 di Jinja in Uganda

Lettera spedita dal campo 366 di Jinja in Uganda

Prigionieri parmensi in Kenya

Solo ora veniamo a conoscenza di un’importante iniziativa dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Eta’ Contemporanea di Parma grazie ad una comunicazione di Domenico Vitale, collaboratore Isrec e responsabile del progetto sui prigionieri parmensi nei campi Alleati.

Questo sito ha raccolto notizie sui Parmensi presenti in 210 Campi di Prigionia Alleati nella Seconda Guerra Mondiale, dal quale siamo stati autorizzati a riportare foto e notizie relative ai Campi in Kenya.

Riportiamo di seguito il numero di prigionieri parmensi rilevati in ciascuno dai campi

7 Campo transito di MANDERA
45 351 KABETE / NAIROBI
1 352 NAIVASHA / MORENDAT
15 353 GILGIL
5 354 NANYUKI
25 355 NYERI
14 356 ELDORET
1 357 MITUBIRI
2 358 MAKINDU
11 359 BURGURET
21 360 NDARUGU
1 361 NAMANGA
- 362 THIKA
14 364 CHANGAMWE
4 365 LONDIANI
3 366 JINJA / UGANDA

Viene anche segnalata la presenza di 5 Parmensi nel campo volante di Mackinnon Road.

CAMPI TEMPORANEI DI LAVORO (P.O.W. WORKING CAMPS)

Oltre ai Campi che portavano un numero, sono stati utilizzati diversi Campi temporanei di lavoro durante la costruzione di opera pubbliche come strade o dighe.

I prigionieri erano sistemati in tende. A Narok erano edifice in muratura, non sappiamo se costruiti appositamente, o preesistenti.

Abbiamo notizia della loro esistenza nelle memorie dei prigionieri e nelle lettere che vi erano indirizzate, segno questo che dovevanop avere una durata considerevole. Li elenchiamo in ordine alfabetico.

ATHI RIVER

Athi River si trova a 30 km da Nairobi, ad un’altitudine di 1530 m slm.

Le coordinate sono: 1.5477 S 36.9785 E

La signora Claudia Bernini ci ha gentilmente inviato questa foto scattata il 25 marzo 1945 nel Campo di lavoro di Athi River. Il nonno, Vito Pinardi, che avveva patente di conduttore di autocarri, e’ il primo in piedi in alto a sinistra. Chi erano I suoi compagni di lavoro e di prigionia?

La strada che hanno costruito e’ chiamata ancora dai locali la strada degli italiani.

KITALE

Il campo di lavoro di Kitale distava 70 km dal Campo 356 di Eldoret, e 390 km a Nord di Nairobi.

Non conosciamo l’ubicazione esatta del campo.

Kitale si trova ad un’altitudine di 1900 m slm.

Ccoordinate: Altitudine 1°01′N Latiitudine 35°00′E

Ci e’ pervenuto un documento ufficiale (TRADE CARD)emesso dal campo di Kitale, che indica il Campo 356 di Eldoret come il campo base (Parent Camp). Si tratta di un ordine di pagamento per 12 centesimi all’ora al Sergente Aroldo Soffritti, N.15664, conducente di Autocarri, in data 1/3/44.

MAI MAHIU

Questo campo e’ servito per la costruzione della ripida strada che dall’altopiano scende fino al fondo della Rift Valley. Il figlio di un prigioniero ricorda che durante la costruzione due prigionieri italiani sono stati uccisi dai leoni. Leggiamo anche che la zona era infestata da serpenti.

In fondo a questa strada e’ stata costruita la Chiesetta di S.Maria degli Angeli, la piu’ piccola chiesa del Kenya. Rimane una strada di grande traffico, dove sono frequenti gli incidenti.

NAROK

Situato a 150 km da Nairobi sulla strada che porta al Masai Mara ad un altidudine di 1827 m slm.

Altro campo di lavoro del quale conosciamo solamente che sono state protette dal Governo del Kenya alcune costruzioni come “momumenti della storia del Kenya “con la Gazette Notice N. 2512 del 19 marzo 2009 , riprodotta negli Allegati.

Le ex-baracche misurano 8 piedi per 30 piedi.

Non abbiamo trovato fotografie di queste costruzioni.

Campi per internati civili

ITALIAN EVACUEE CAMPS

Subito dopo la vittoria in Africa Orientale Italiana le autorita’ britanniche hanno internato e trasportato in territorio britannico numerosi civili italiani dall’Eritrea e dall’Abissinia. In quanto Italiani erano enemy aliens e considerati pericolosi. Sono stati approntati fin dal 1941 campi a Tabora in Tanganyika, due a Nyeri, e uno ciascuno a Nanyuki e Mackinnon Road in Kenya.

ITALIAN EVACUEE CAMP 1 TABORA Tanganyika
La posizione esatta non ci e’ nota
Longitudine 5.0425° S
Latitudine 32.8197° E
Altitudine 1200 M SLM

Su una rivista militare inglese del 2020 abbiamo trovato questa foto della squadra di calcio di Tabora dove figura qualche nome, e un’altra del campo, quasi vuoto dopo molti rimpatrii.

A Tabora gli internati italiani hanno costruito la cattedrale di Sta Teresa.

EVACUEE CAMP 1 A Nyeri
EVACUEE CAMP 1 B Nyeri Station
La posizione esatta non ci e’ nota
Longitudine 0° 24’ 59” N
Latitudine 36° 56’ 59” S
Altitudine 1773 M SLM
Distanza da Nairobi 150 KM

Campi di Internati Civili

Nei pressi della stazione di Nyeri sono situati i due campi, n. 1-A e n. 1-B, di evacuati civili, distanti 3 km. l’uno dall’altro. È questo uno dei distretti più belli della Colonia e, con Nairobi, dal clima migliore. I civili internati nei due campi assommano a quasi 4000. Dal Rapporto Melis.

Henry de Monfreid ricorda

“A Nyeri i civili italiani sono cinquemila, ci sono delle coppie, volendo si può migliorare il vitto con piccoli orti di fortuna, lontano dalle baracche. C'è chi si è costruito una capanna con scatole di latte condensato, chi con i resti di casse assemblati ad arte, chi con minuscoli mattoni provenienti da un forno costruito ad hoc. C'è una zona adibita a quartiere di caffè e ristoranti, dove alcuni civili fanno da gestori, c'è anche chi ha adibito una baracca a sartoria... È il piccolo mondo italiano di Harar trasportato a migliaia di chilometri e che faticosamente si industria ad ammazzare il tempo aspettando il rimpatrio.

Un padre cappuccino, padre Michelangelo, barba rossa, cranio rasato, fa da capocampo, mantiene in alto i cuori e sorveglia come può la morale di un agglomerato umano dove le donne sole, perché il marito è un POW, o perché non sposate, sono sì separate dagli uomini, ma rappresentano uno strano miscuglio dove le domestiche, divenute capibaracca, danno ordini alle padrone di un tempo, le prostitute riscoprono il piacere di essere soltanto delle fidanzate, qualche "signora bene" scopre il fascino del "proibito"…

Henry de Monfreid, (1879-1974) avventuriero e scrittore francese, autore di settanta libri tra cui “I Segreti del Mar Rosso”, era stato imprigionato come simpatizzante dell’Italia. “Ho vissuto una vita ricca, irrequieta e magnifica” aveva dichiarato qualche giorno prima di morire a 95 anni.

La posta dei prigionieri

Ecco alcuni esempi di corrispondenza inviata da evacuati civili del campo 1 A e 1 B di Nyeri.

Nel Campo c’era anche un internato Austriaco, con il numero di matricola E 44261,( E- sta per Evacuee, Internato) come risulta da questa lettera spedita dal campo di Nyeri Station.

EVACUEE CAMP 2
La posizione esatta non ci e’ nota
Longitudine 0° 01’ 0” N
Latitudine 37° 04’ 22” E
Altitudine 1946 m slm
Distanza da Nairobi 195 km

EVACUEE CAMP 3 Nanyuki
La posizione esatta non ci e’ nota

EVACUEE CAMP 4 Mackinnon Road, Kenya
Longidine 3.81 S
Latitudine 39.11 E
Altitudine 346 m slm
Distanza da Nairobi 395 km